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Nel 1961 l’Italia compie cento anni. Il Paese ha alle spalle un pesante conflitto mondiale, che lo ha visto sconfitto, ma nonostante questo ha ritrovato una diffusa e straordinaria fame di futuro. Un’energia che opera una prima grande transizione del nostro sistema produttivo da un’economia agricola a un’economia industriale e che lo porterà in pochi anni a conquistare un ruolo di primo piano tra i paesi avanzati. A cinquant’anni di distanza, al suo 150esimo anniversario, l’Italia si trova nel mezzo di una nuova transizione, spinta da fattori interni ed esterni: la crisi internazionale sicuramente, il crescente debito pubblico, la lentezza dei nostri processi decisionali in un mondo in cui il passo è ormai dato dai mercati finanziari, l’ingresso nel mercato di paesi di nuova industrializzazione che competono nelle nostre stesse specializzazioni produttive. Soprattutto quest’ultimo fattore ha operato una profonda trasformazione nella produzione. Una metamorfosi dolorosa, che se da un lato ha portato alla scomparsa di imprese, dall’altro sta spingendo parti importanti del nostro sistema produttivo a fare un indispensabile salto di qualità ponendosi verso segmenti più elevati di valore aggiunto. Ma molto resta da fare. Sul piano delle riforme e della finanza pubblica, per recuperare un inspiegabile ritardo maturato negli ultimi dieci anni; sul piano dello sviluppo, per ricostruire una idea di futuro che noi pensiamo debba essere legata alla qualità, in grado di dare una direzione a questa nuova transizione. Per fare questo è necessario poter leggere con occhi diversi l’esistente e trovare le corde giuste per attivare le energie migliori del nostro Paese. Il Prodotto Interno di Qualità (PIQ) nasce per accompagnare questo processo e misurarne le evoluzioni. Un cantiere avviato dalla Fondazione Symbola e Unioncamere nel 2007 che corre su due binari: uno culturale, che riguarda la definizione del concetto di qualità legato alle produzioni; l’altro legato alla costruzione di un indicatore in grado di misurarne i livelli di qualità nelle economie nazionali, espresso in valori monetari e confrontabile con il PIL. Inquadrare in forma compiuta questo concetto è cosa complessa, soprattutto perché diviso tra realtà e percezione. In questi anni – anche grazie all’apporto del Prof. Campiglio, che coordina la ricerca, e al lavoro dell’Istituto Guglielmo Tagliacarne – stiamo lavorando per ridurre questo gap. L’esperienza ci ha portato a limitare l’utilizzo di parametri soggettivi, che, se da un lato avrebbero forse reso la misurazione più aderente alla percezione diffusa della qualità, dall’altro avrebbero reso complessi i confronti tra diversi Paesi. La scelta operata nel presente lavoro è stata, quindi, quella di rimanere nell’ambito delle misurazioni oggettive, allargando lo spettro dei fenomeni considerati quali co-determinanti della qualità, al fine di tentare di avvicinarsi a una misurazione della qualità il più possibile vicina a quella reale. Tuttavia, anche questa strada non risulta del tutto priva di criticità. Nello specifico, partendo dall’individuazione di una serie di indicatori settoriali espressivi delle varie dimensioni della qualità (professionalità, innovatività, solidità, relazionalità, ecc.), si è arrivati a stimare per ciascuna attività economica la quota parte di valore aggiunto di qualità. La somma delle quote così ottenute ha dato come risultato il PIQ relativo all’intera economia italiana, che rappresenta oggi il 46,9% del valore aggiunto complessivo, in crescita rispetto al 2009. Al contempo, la metodologia seguita permette di individuare un’ampia area di non qualità o di qualità insufficiente (purtroppo ancora pari al 53,1%), alla quale si aggiunge tutto ciò che viene prodotto con l’utilizzo di lavoro irregolare o agendo comunque all’interno di quella che viene definita economia sommersa, danneggiando i consumatori e le tante imprese che operano in modo corretto e nel rispetto delle regole. La “tenuta della qualità” si associa ad un altro aspetto confortante per la nostra economia: la riduzione delle distanze tra i settori. Se nel precedente rapporto le quote percentuali di qualità evidenziavano una distanza media di 7,1 punti tra i vari comparti considerati, nelle elaborazioni presentate in questo nuovo lavoro le distanze scendono a 5,4 punti, facendo pensare a una “convergenza di sistema” verso livelli di qualità sempre più elevati. Infatti, limitandoci anche ai macro-settori, non sono infatti poi molti i punti che separano i due estremi per quota di qualità, l’agricoltura con il 53,8% da una parte, e le costruzioni con il 43,8%, dall’altra. Scendendo nell’analisi, attività industriali di rilievo come la chimica, la meccanica, l’elettronica e i mezzi di trasporto si distinguono con presenze di prodotto di qualità molto significative ma comunque non distanti da quanto rilevato per quelle attività del Made in Italy (dall’alimentare alla moda e all’arredamento) a più forte presenza di piccole imprese e più aperte ai mercati internazionali. Nei servizi emergono le attività appartenenti alla intermediazione finanziaria, contraddistinte da indicatori esplicativi molto positivi su diversi versanti (spazio per giovani e donne, attenzione all’innovazione e al rispetto delle regole del mercato del lavoro, ecc.). In fondo, se nessuna catena può essere più forte di un suo singolo anello, anche per una economia articolata, diffusa e pluri-vocata come la nostra, la “qualità di sistema” rappresenta un elemento necessario per prospettive di sviluppo durature. Il metodo adottato, peraltro, fornisce nuovi elementi circa il ruolo che aspetti di input (ovvero di interrelazioni produttive), di processo (nelle sue diverse angolazioni osservabili nei fattori produttivi) e di output (in sostanza, il “giudizio del mercato”) svolgono nel determinare risultati economici settoriali all’insegna della qualità.
Un metodo, che è la declinazione sperimentale di una visione dell’economia, dove bellezza e innovazione sono le componenti fondamentali di una scommessa in grado di liberarci dalle angustie di un difficile presente e di farci vincere le sfide del futuro.

Ferruccio Dardanello, Presidente Unioncamere
Ermete Realacci, Presidente Symbola – Fondazione per le Qualità Italiane

a cura di Symbola e Unioncamere

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