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Con il diffondersi della pandemia la tv e il Paese sono cambiati in modo sincronizzato. Nel lockdown la curva degli ascoltatori ha seguito l’andamento del contagio e istituzioni e informazione hanno guadagnato un grande spazio. Mentre l’intrattenimento si è spostato in palinsesti paralleli su Instagram, la tv si è fatta più intima, acquisendo una nuova agilità produttiva. Grazie al servizio pubblico, in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione, è tornata a produrre contenuti formativi significativi.

Realizzato in collaborazione con Amabile Stifano, Dottore di ricerca, esperto di contenuti tv e videopolitica, autore televisivo.
Questo contributo fa parte della rubrica #iosonocultura,  parte del Decimo rapporto IO SONO CULTURA realizzato da Fondazione Symbola, Unioncamere e Regione Marche in collaborazione con l’Istituto per il Credito Sportivo.

 

 

Più persone a casa in regime di smart working non significano necessariamente più persone davanti alla televisione, soprattutto di sera.

E invece fin da subito, nella settimana relativa al decreto #IoRestoaCasa, la fascia oraria della prima serata contava 30 milioni e 500mila telespettatori rispetto ai 26 milioni del mese precedente. Ancora più impressionanti i dati relativi alla settimana tra il 22 e il 29 marzo – i giorni in cui c’era stata un’esplosione di casi posivi al Covid-19 – quando si è raggiunto il picco di consumo televisivo giornaliero per persona, con una punta proprio domenica 22 marzo di 399 minuti medi, sfiorando le sette ore. La curva degli ascolti ha seguito l’andamento dei contagi: la sovrapposizione concomitante dei due trend ha dunque attribuito al piccolo schermo la funzione di «sismografo dell’ansia degli italiani»[1]. D’altro canto anche l’ultimo rapporto Eurispes ha sottolineato come la televisione rimanga sempre il mezzo più credibile per gli italiani[2] (64,6%) ed è comprensibile che, nella situazione di incertezza assoluta determinata da una pandemia senza precedenti, la popolazione si sia affidata a un medium in grado di garantire la verifica delle informazioni.

A livello formale, mentre il bacino di telespettatori aumentava esponenzialmente, le misure di sicurezza svuotavano del pubblico gli studi televisivi, privando le trasmissioni di un elemento fondamentale per la loro liturgia.

I talk show politici, dopo un primo periodo di straniamento, sono stati forse il genere a risentire meno della nuova situazione. L’assenza di punteggiatura generata dai numerosi applausi ha forse creato qualche problema di ritmo al racconto ma, al contempo, ha reso meno evidente quella dinamica da tifoserie che accompagna da anni questo tipo di programmi. Per ovviare al problema, quando l’ordinanza ministeriale riguardava solo la Lombardia, Paolo Del Debbio nel suo Dritto e Rovescio trasmesso da Milano aveva posizionato il pubblico in uno studio a Roma e, con un gioco di ledwall e di audio, aveva reso meno evidente il cambiamento. Allo stesso modo Quelli che il calcio, programma anch’esso in onda dal capoluogo lombardo, aveva il pubblico in collegamento da Napoli. Ma per l’intrattenimento il pubblico non è solo punteggiatura, è parte dello show. La Corrida, ad esempio, si è dovuta arrendere ed è stata sospesa, mentre Amici di Maria De Filippi si è mostrato in una nuova versione che ha disorientato i fan ma retto negli ascolti. Non è però un caso che a riuscire meglio nell’improvvisare soluzioni siano stati i più avvezzi ai codici dell’ironia o della satira, senza essere in ogni caso trasmissioni propriamente comiche. Cattelan nel suo Epcc ha organizzato collegamenti con classi di liceali dell’ultimo anno, sommando all’originalità dell’idea anche l’attenzione a un tema sensibile – quello dei maturandi in lockdown – che ha portato avanti puntata dopo puntata. E Propaganda Live, con i cartonati di improbabili personaggi noti posizionati in platea, è andata oltre: la trovata era essa stessa spettacolo e le risate e gli applausi finti, sovrapposti alla musica live e alle reazioni degli ospiti e del cast in studio, avevano comunque il nobile timbro della gag. Inoltre il programma di Diego Bianchi si è sempre basato anche su un altro tipo di pubblico attivo come quello in studio, la comunità social. In questo caso il telespettatore non ha dunque perso una importante fonte di identificazione: se utilizzato in onda, un commento social su ciò che si racconta in trasmissione ha la stessa forza aggregante di un applauso perché rimanda a una visione comunitaria e in diretta.

 

 

Oltre all’assenza di pubblico in studio è mutata profondamente anche la partecipazione degli ospiti, in collegamento dalle proprie abitazioni attraverso i comuni software di videochiamate che tutti gli italiani stavano imparando a conoscere meglio in quelle giornate, sia per ragioni lavorative che familiari. Case private sono divenute nuove scenografie pubbliche e la tv ha utilizzato le stesse tecnologie dei telespettatori, con una resa visiva – compresi i difetti, anzi grazie a loro – del tutto identica a quella quotidiana ed extratelevisiva sperimentata dal pubblico a casa. Una tv, beninteso, non per questo più “vera”, come qualcuno ha affermato; semplicemente più intima e quindi coerente con lo stato del Paese. Nonostante i limiti evidenti sottesi da queste dinamiche, la televisione ha acquisito però una nuova agilità produttiva, quasi radiofonica, con i collegamenti via Skype che in questo senso rasentano la duttilità di una telefonata.

 

 

Dalle necessità, quindi, a soluzioni ed espedienti. Bruno Vespa, ad esempio, ha organizzato un’intervista attraverso una videochiamata Whattsapp, la prima nella storia del suo programma, mentre a La Vita in Diretta la conduttrice conversava con l’ospite senza guardare in camera ma direttamente nel tablet. Dal 3 aprile SkyTg24 ha addirittura allestito il primo telegiornale generalista condotto e coordinato interamente dal salotto dell’anchorman. Una scelta rivoluzionaria, come anche in casa La7, dove Andrea Purgatori ha condotto il suo Atlantide in collegamento e con lo studio completamente vuoto.

 

 

L’effetto Covid-19 ha poi contagiato anche la gamma dei protagonisti mediatici.

E se era naturale che i virologi conquistassero terreno televisivo in questa situazione, non era scontato che la tv riuscisse in brevissimo tempo a creare maschere perfettamente riconoscibili pur partendo da soggetti molto antitelevisivi. Inoltre, anche se questa volta il giornalismo televisivo ha provato a dar voce alla competenza per sostenere il proprio racconto, il paradigma del talk-show si è mangiato la scienza e la sua rappresentazione: soprattutto nelle prime settimane i virologi si sono mostrati in disaccordo pubblico tra loro, attaccandosi direttamente l’un l’altro, come qualche tempo prima erano soliti fare i protagonisti della telepolitica. Che non ci fosse unanimità di pensiero nella comunità scientifica non avrebbe dovuto sorprendere, ma che queste divergenze divenissero troppo spesso il focus del dibattito mediatico sarebbe stato da evitare, soprattutto a livello informativo.

Non solo nuovi personaggi, ma anche nuovi rituali.

All’inizio del lockdown e per molte settimane, l’orario di riferimento per guardare la tv è stato il tardo pomeriggio, le 18, una sorta di nuova prima serata. Il bollettino della Protezione Civile che informava sull’andamento di vittime e contagi è stata la Radio Londra del Paese, un appuntamento fisso e molto atteso, il meteo per la previsione dei tempi. Anche il primo intervento del pontefice era stato fissato a quell’ora, così come la mobilitazione extratelevisiva dei flashmob sui balconi. Le 18 sono diventate il nuovo perno perché permettono una visione attiva da parte del pubblico: la tv non si guarda più solo come sottofondo o compagna di un’altra attività (cenare, lavare i piatti, rilassarsi), ma è il mezzo che dà le coordinate per decifrare la realtà.

Anche i leader mondiali si sono affidati alla televisione come mai prima per parlare alla popolazione.

Per non fare che qualche esempio, Angela Merkel ha affrontato per la prima volta nella sua ultradecennale storia di cancelliera un discorso alla nazione trasmesso in diretta tv. Emmanuel Macron ha realizzato ascolti record nel suo intervento del 16 marzo, con l’85% di share e oltre 35 milioni di francesi all’ascolto. In casa nostra, i venti minuti di Giuseppe Conte relativi all’annuncio sulle nuove misure restrittive del 9 marzo hanno raggiunto 22 milioni di telespettatori e oltre il 70% di share. Dal potere temporale, poi, a quello spirituale: la benedizione Urbi et Orbi di papa Francesco, trasmessa da una piazza San Pietro deserta in cui i rintocchi delle campane si univano alle sirene delle ambulanze, ha coinvolto – sommando le numerose dirette – più di 17 milioni di persone e oltre il 64% della platea televisiva.

Le istituzioni e l’informazione hanno dunque guadagnato un grande spazio mediatico.

Il genere che ha sofferto maggiormente è stato invece l’intrattenimento, sia per motivi produttivi che per ragioni di linguaggio. E i protagonisti di questa televisione, orfani della telecamera, invece di sparire dalle scene fino a nuovo ordine, hanno cercato nei social un luogo di espressione. Trovandolo, verrebbe da dire, al punto da costituire su Instagram un vero e proprio palinsesto parallelo a quello televisivo: non più contenuti social che affiancano la tv, ma artisti che recuperano campo e pubblico sui social con un linguaggio prettamente televisivo. Le dimensioni del fenomeno sono state tali da spingere gli uffici stampa delle star a segnalare le dirette Instagram con comunicati stampa come, fino a un mese prima, si faceva per i loro programmi tv. E in rete sono fiorite anche le prime guide per orientarsi in quella vasta offerta di contenuti. Solo per citarne alcuni, si andava dal Jova House Party di Lorenzo Jovanotti al Dj set di Nicola Savino, e poi ancora Rosario Fiorello, Antonella Clerici, Caterina Balivo, Geppi Cucciari, Luciana Littizzetto, Laura Pausini, Paolo Bonolis dall’account della società gestita dalla moglie e Alessandro Cattelan con la versione social del suo Epcc. Si sono così realizzati appuntamenti e confronti impossibili da concepire in televisione, a meno di budget enormi, che comunque non sempre sarebbero bastati a convincere nomi importanti, appartenenti a “scuderie” differenti e spesso in contrasto. «Ma se siamo tutti in diretta, chi ci guarda?», si è chiesto proprio in quei giorni il comedian Saverio Raimondo, per concludere sarcasticamente: «Spacciamo la nostra noia come intrattenimento contro la vostra, il nostro non riuscire a stare fermi per un invito a starci voi; ma in realtà siamo solo miserabili avvoltoi che volteggiano sul vostro tantissimo tempo libero»[3].

 

 

Da questa esperienza social, tuttavia, è nato l’esperimento forse più interessante della tv in quarantena. Su Rai1 – e su tutte le piattaforme Rai – la trasmissione Musica che unisce si è appropriata del linguaggio del momento per allestire un concerto benefico di quattro ore, costruito con il collage di performance inviate dagli artisti nelle loro abitazioni. Sempre riguardo l’intrattenimento, inoltre, tra programmi cancellati (Ballando con le Stelle), interrotti e soap-opera sospese (da Un Posto al Sole a Beautiful, per la prima volta nei suoi trent’anni di messa in onda), due trasmissioni meritano una menzione speciale. Pechino Express e la sua forza nel mostrare cinicamente come fossimo prima, quando si poteva viaggiare e addirittura giocare in squadra. E, seguendo una curiosa coerenza, il successo della rappresentazione interna di una casa, quella del Grande Fratello che, da vent’anni, mette in scena proprio una quarantena.

Infine, mentre «il lockdown faceva volare la tv via streaming Netflix»[4] e il mercato italiano si arricchiva di un altro player importante come Disney+, la Rai ha sviluppato contenuti in linea con il proprio ruolo di servizio pubblico in collaborazione con il Ministero dell’Istruzione: offerte inedite per i bambini, didattica a distanza con programmazione divisa per materie su Rai Scuola, produzioni ad hoc per i maturandi, contenuti esclusivi su Raiplay come i dieci appuntamenti con Piero Angela e le Opere del Teatro Alla Scala. Un impegno che, proprio perché avvenuto in piena emergenza, ha riscritto un nuovo capitolo del rapporto tra utenti e televisione, ridefinendone virtuosamente i confini, come ha voluto sottolineare anche il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: «Un contributo importante che esalta la missione del Servizio Pubblico, richiamando il ricordo di alcune delle pagine più belle e preziose della Rai».

 

 


[1] M. Scaglioni, Covid-19, ottanta giorni in cui la tv è diventata il sismografo della crisi, in «Corriere della Sera», 3 maggio 2020, p. 47.

[2] Eurispes, Rapporto Italia 2020, 32ª edizione, gennaio 2020.

[3] S. Raimondo, Il lavoro poco agile del comico, in «Il Foglio», 18 marzo 2020.

[4] R. Silipo, Effetto Coronavirus su Netflix: 16 milioni di abbonati in più, in «La Stampa», 22 aprile 2020. I dati stimavano 15,7 milioni di abbonati in più a livello globale nei primi 3 mesi dell’anno.

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