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Genera più valore aggiunto della sanità, ha all’incirca gli stessi impiegati del settore delle costruzioni. E cresce di più dell’economia nazionale. Nel 2018 il sistema produttivo culturale e creativo in Italia ha sfiorato i 96 miliardi di euro, il 6,1% del Pil, crescendo del 2,9% in termini di valore aggiunto e dell’1,5% per occupati, a fronte di dati dell’economia nazionale fermi rispettivamente a +1,8% e +0,9%. Arrivato alla sua nona edizione, il rapporto “Io sono Cultura”, realizzato dalla Fondazione Symbola e da Unioncamere, racconta l’industria della cultura e della creatività italiana, un segmento in costante sviluppo e capace di far da volano per l’economia nel suo complesso. Segmento che comprende le industrie “core” (quelle creative, culturali, il patrimonio storico-artistico e le performing arts) e quelle “creative driven” (attività che non fanno parte della filiera ma impiegano contenuti e competenze culturali e creative per accrescere il valore dei propri prodotti).

Le imprese del settore sono 416.080, il 6,8% del totale del Paese. Secondo Eurostat nel 2016 l’Italia era il Paese europeo con il maggior numero di questo tipo di attività, il 14,5% delle 1 milione e 230mila del continente, seguita da Francia e Germania. Eppure, a fronte di un aumento di valore aggiunto e occupazione, il loro numero non cresce: «Il numero non è necessariamente un punto di forza, perché può significare anche frammentazione», ha sottolineato Giuseppe Tripoli, segretario generale di Unioncamere, alla presentazione dello studio.

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Soft Economy - L'industria creativa batte ancora la crisi, Autori Vari | Il Sole 24 Ore

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