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Alla cultura e alla creatività e alla loro capacità di creare soft economy, un neologismo che abbiamo coniato per indicare un’economia che punta sulla qualità valorizzando l’identità delle comunità e dei territori, rispettando l’ambiente e incorporando bellezza, Fondazione Symbola e Unioncamere in collaborazione con la Regione Marche, da nove anni dedicano il rapporto Io sono cultura.

La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.
Art. 9 della Costituzione Italiana

Nel 1990 il politologo americano Joseph Nye in un articolo apparso su The Atlantic, rivista di politica ed economia statunitense, coniava il termine Soft power.
Il concetto, ripreso e ampliato successivamente dallo stesso autore in un best seller dal titolo omonimo, veniva contrapposto all’hard power statunitense, fondato sull’idea che l’affermazione nazionale si basa su aspetti hard quali il prodotto interno lordo, la difesa dei confini o la potenza militare. Nye proponeva, invece, una più efficace via europea soft, in grado d’influenzare il mondo e quindi competere, facendo leva sul convincimento e sul potere di seduzione della cultura.

Sono passati quasi trenta anni e per uno strano giro della storia, la geografia di Nye torna ad essere di grande attualità. L’America first di Trump, versione aggiornata dell’hard power, continua ad avere come contraltare il primo mercato mondiale, l’Europa, con i suoi 500 milioni di consumatori, 21 milioni di aziende, 2.800 miliardi di euro di scambi intra-UE e 1.500 miliardi di scambi. Un mercato a forte trazione culturale, in cui risiede un terzo degli addetti mondiali della cultura.
E, mentre il nuovo programma Europa Creativa 2021–2027 è in gestazione, Parlamento e Commissione già convergono sulla necessità di aumentare le risorse a sostegno della filiera. Tra le misure di peso la recente direttiva sul diritto (digitale) d’autore, con cui l’Unione ha affermato la tutela della creatività di autori ed editori europei. In questa direzione, si sta muovendo, il presidente francese Emmanuel Macron, impegnato nella formazione di un’alleanza europea diretta a favorire la crescita delle industrie creative e culturali per contrastare la competizione dei giganti americani (Netflix, Disney, Apple in primis). Azioni che dimostrano come la cultura e la creatività siano ancora considerate strategiche per lo sviluppo di una Europa che ha all’articolo 3 del suo trattato proprio la salvaguardia e lo sviluppo culturale.

Nonostante le politiche non abbiano mai fatto la differenza, l’Italia, grazie alla storia e alla forza della società e delle imprese, gode di un grande potere di seduzione culturale nel mondo, certificato anche da recenti classifiche. Alla cultura e alla creatività e alla loro capacità di creare soft economy, un neologismo che abbiamo coniato per indicare un’economia che punta sulla qualità valorizzando l’identità delle comunità e dei territori, rispettando l’ambiente e incorporando bellezza, Fondazione Symbola e Unioncamere in collaborazione con la Regione Marche, da nove anni dedicano il rapporto Io sono cultura.

Al Sistema Produttivo Culturale e Creativo (così nel rapporto viene definita l’attività di settori culturali e creativi e quella dei professionisti culturali e creativi ovunque essi operino) nel 2018 si deve il 6,1% del valore aggiunto italiano: oltre 95,8 miliardi di euro. Dato in crescita del 2,9% rispetto all’anno precedente, mentre l’economia italiana nel suo complesso è aumentata dell’1,8% a prezzi correnti. Circa un terzo di questa ricchezza è generato da settori non culturali, manifatturieri e dei servizi, nei quali lavorano quasi 600.000 professionisti della cultura (designer, comunicatori, registi, ecc.) per elevare la qualità e il valore prima simbolico e poi economico di beni e servizi. Si spiega anche così la graduale riduzione delle quantità di beni prodotti dal Paese, siano essi scarpe, occhiali, mobili a favore di un significativo incremento del loro valore, riducendo contestualmente la quantità di materia ed energia per unità di prodotto.

Ma la cultura ha effetti anche sul contesto grazie a un moltiplicatore che abbiamo stimato essere pari a 1,8: in altri termini, per ogni euro prodotto dalla cultura se ne attivano 1,8 in altri settori. I 95,8 miliardi, quindi, ne ‘stimolano’ altri 169,6 per arrivare a 265,4 miliardi prodotti dall’intera filiera culturale, il 16,9% del valore aggiunto nazionale, col turismo come primo beneficiario di questo effetto volano. Un effetto competitivo confermato anche dal fatto che le aree geografiche dove maggiore è il fatturato della cultura sono anche quelle dove
è forte la vocazione manifatturiera.

Il Sistema Produttivo Culturale e Creativo (da solo, senza considerare gli altri segmenti della nostra economia) dà lavoro a più di 1,55 milioni di persone, il 6,1% del totale degli occupati in Italia. Dato anch’esso in crescita: + 1,5%, con un risultato superiore alla dinamica del complesso dell’economia (+0.9%). Io sono cultura — con i suoi numeri e le sue storie, realizzato anche grazie al contributo prezioso di circa 40 personalità di punta nei diversi settori analizzati — scandaglia e racconta le energie nascoste dietro questi risultati. Attraverso un’idea di cultura fatta naturalmente di musei, gallerie, festival, beni culturali, letteratura, cinema, performing arts, ma anche di industrie creative e made in Italy: cioè tutte quelle attività che non producono beni culturali, ma che dalla cultura traggono linfa creativa e competitività. Quindi il design, l’architettura e la comunicazione: industrie creative che sviluppano servizi per altre filiere e veicolano contenuti e innovazione nel resto dell’economia — dal turismo all’enogastronomia alla, fino ai servizi — dando vita ad una “zona ibrida” in cui si situa la produzione creative-driven. La culturalizzazione dell’economia in atto richiede, infatti, una maggiore capacità creativa alle imprese per competere e avere successo nei mercati locali e internazionali, a diversi livelli: sia per realizzare prodotti e servizi innovativi, sia per potenziare il quoziente creativo dell’organizzazione in sé, attivando e rendendo confidenti sul tema creatività tutti i membri dell’organizzazione. Solo così è possibile favorire l’innovazione, diffondendo il pensiero creativo che consente salti di scala continui e una costante circolarità tra visione di insieme e qualità del dettaglio. E questo avviene non solo nei settori della moda e all’arredamento, ma anche in settori apparentemente meno inclini alla contaminazione creativa ma che grazie ad essa innovano e sono capaci di innescare storie di successo.

Nelle performance economiche illustrate si possono cogliere i segnali di un fermento culturale ampio, che investe tutta la società e, per osmosi, l’economia.
A partire dal design, in crescita per numero di imprese — di cui deteniamo il primato europeo —, occupati e fatturato. La sostenibilità si afferma come mantra di ogni processo che coinvolge il progettare, il pensare e il produrre, alla luce delle richieste del mercato, trainato da una domanda sempre più attenta a stili di vita e di consumo sostenibile. Il trend investe molti settori della manifattura, coinvolgendo un numero crescente di designer: dall’arredo alla moda, fino all’automotive, settore in cui è cruciale per ridisegnare l’auto del futuro: elettrica e autonoma. In più, in tempi di transizione verso una imminente era robotica, il design gioca un ruolo fondamentale perché le automobili siano sempre più accoglienti e sicure.

Altro settore in crescita tra le industrie creative è la comunicazione, alla luce della necessità delle imprese di rafforzarsi in termini di identità, mettendo al centro il rapporto con i consumatori e la loro opinione. Oltre a crescere, il content marketing cambia spazi: puntando sugli influencer e sulla community, investendo sui canali proprietari, dai blog aziendali alle riviste cartacee.
È il caso tutto italiano dei brand magazine di viaggio. E quando si tratta di occupare gli spazi già frequentati dai consumatori (i canali social), lo si fa puntando sull’intrattenimento e sul mettere le esperienze delle persone al centro.

Ma l’Italia continua a crescere anche in segmenti in cui aveva accumulato ritardi in passato, recuperando terreno nel contesto internazionale: è il caso, ad esempio, del settore videogame e software, che si conferma come uno dei catalizzatori dell’intera filiera nel mondo e in Italia. Nonostante il trend positivo che il settore sta vivendo nel nostro Paese negli ultimi anni, manca ancora un ecosistema consolidato a supporto della filiera. Mentre a livello internazionale e nazionale il digitale si afferma come la piattaforma di vendita d’eccellenza per i videogame, anche nel nostro Paese è imminente l’arrivo di nuovi servizi, che potranno rivoluzionare l’intero settore, in seguito alla diffusione del cloud gaming già in atto. Dopo musica, cinema e tv, anche per il videogame è cominciata l’era dello streaming e della liberazione dal supporto fisico della console in diversi Paesi del mondo, Italia inclusa. E, se la nascita di nuove aziende promettenti e il consolidamento di team già presenti a livello nazionale migliorano da un lato le prospettive lavorative delle nuove generazioni in Italia, dall’altro favoriscono l’interesse crescente anche da parte di istituzioni e imprese culturali attive in altri settori, dai musei al cinema. Le connessioni crescenti tra patrimonio e videogame, o tra addetti ai lavori delle arti narrative nel mondo dell’audiovisivo (autori, sviluppatori, registi e disegnatori), sono strategiche perché possono stimolare ulteriormente la crescita dei diversi settori.

E a proposito di cinema e contaminazioni, i cambiamenti in atto in Italia e nel mondo in seguito al consolidamento degli operatori Over the top, non ci permettono più di scindere tra industria cinematografica e industria audiovisiva.
Mentre il film nelle sale fa fatica, anche nel nostro Paese cresce il consumo dei prodotti audiovisivi sulle nuove piattaforme online, in prima linea anche come produttrici di contenuti di qualità. L’Italia si distingue, in questo senso, per il suo contributo all’industria dei contenuti: non solo i prodotti nazionali stanno conoscendo grande popolarità anche all’estero, ma il nostro Paese è set privilegiato che attrae importanti produzioni internazionali. Nel 2019 due set d’eccezione fanno da sfondo alle riprese di altrettanti film. Matera ospiterà infatti il prossimo episodio della saga di James Bond, Shatterhand, mentre a Trieste il castello di Miramare e piazza Unità d’Italia hanno fatto da sfondo al sequel di Come ti ammazzo il bodyguard. Lo scorso anno anche Netflix ha scelto la Puglia, Taranto in particolare, per girare Six underground di Michael Bay. Sono ben note le ricadute positive sui territori che diventano protagonisti delle storie che vediamo al cinema. Basti pensare a Crema, che ha conosciuto un boom di cineturismo grazie al film di Luca Guadagnino, Chiamami col tuo nome, Oscar per la miglior sceneggiatura non originale.

L’Italia in cammino che anima le pagine del presente rapporto non è da sola la soluzione ai mali antichi del Paese: non solo il debito pubblico, l’economia illegale, le diseguaglianze sociali, il ritardo del Sud, una burocrazia inefficace e spesso soffocante.

Quella raccontata in Io sono cultura è però un’Italia vitale, da cui il Paese può attingere. Talenti ed energie per rafforzare un modello di sviluppo che i nostri Padri costituenti oltre settant’anni fa indicarono nell’art. 9 della Costituzione Italiana. Articolo che il presidente Carlo Azelio Ciampi considerava il più originale perchè, unico al mondo, tiene insieme lo sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica con la tutela del paesaggio e del patrimonio storico e artistico della nazione. E assegna questa missione non allo Stato ma alla Repubblica. Cioè a tutti noi.

Carlo Sangalli Presidente Unioncamere
Ermete Realacci Presidente Fondazione Symbola

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