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A tutti è capitato di traslocare: secondo un sondaggio di Immobiliare.it, non recentissimo, ogni italiano lo fa almeno due volte nella vita. E ad ogni trasloco c’è sempre quel divano che non ci piace più o il tavolo troppo grande per la nuova cucina. Che fare di questi mobili? A parte Ikea (che alla fine dello scorso anno, in occasione del Black Friday, ha invitato a riconsegnare l’usato in cambio di un buono) chi produce mobili generalmente non ritira i prodotti che non servono più (come succede invece, ad esempio, quando si acquistano elettrodomestici: il cosiddetto “uno contro uno”). Se sono mobili in condizioni buone o almeno passabili, la scelta preferibile sarebbe allungare la loro vita: trovare, insomma, chi li compri o comunque li prenda in casa.

Che quello dei mobili di seconda mano sia un ambito vivace ce lo dice oltre all’esperienza anche la Rete: cercando su Google ‘mobili usati’ si ottengono più di 200 milioni di risultati, tra piattaforme di vendita e acquisto (come eBay, Subito.it, Kijiji, Bakeca.it), oppure mercatini del baratto, cooperative o traslocatori che sgomberano locali o ancora negozi dell’usato. Scorrendo i dati di vendita dei 74 negozi Mercatopoli, rete dell’usato conto terzi in franchising, osserviamo che su un totale di 25 milioni di euro circa di giro d’affari annuale, il 12% è legato ai mobili: due milioni e mezzo di pezzi, soprattutto di piccola taglia.

Non ci sono statistiche ufficiali sul mercato della vendita di seconda mano. Anche perché nel nostro Paese non c’è ancora, per le suppellettili, la responsabilità estesa del produttore: quel meccanismo utilizzato oggi per gli imballaggi grazie al quale i produttori pagano un eco-contributo che servirà poi per gestire il fine vita. Mentre in Francia è stato creato Eco-mobilier, consorzio tra fabbricanti e distributori, in Italia questo non è avvenuto. Ma qualcosa andrà fatto, visto che nel Piano d’azione per un’economia circolare del marzo dell’anno scorso, la Commissione europea inseriva i mobili tra i beni per cui allungarne la durabilità, favorire la riparazione e il riuso.

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Perché buttare quel comò? La seconda vita dei mobili è in Rete - Daniele Di Stefano | La Stampa

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