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“Siamo ancora in tempo per dare al Paese un messaggio netto sulla direzione che dobbiamo prendere per il futuro.  Ad oggi, però, quel messaggio non lo vedo”. A pochi giorni dall’approvazione, molto sofferta, del Piano nazionale di ripresa e resilienza (il Pnrr o Recovery Plan), EconomiaCircolare.com prova a leggerlo con Ermete Realacci, presidente di Fondazione Symbola e voce tra le più lucide dell’ambientalismo italiano.

Il Piano è migliorato rispetto alle bozze precedenti, dice, ma cosa ancora non la convince?
Le cose contenute nel piano hanno una logica, ma è stato smarrito il senso della sfida che dobbiamo affrontare. Se frammenti all’infinito le indicazioni, alla fine si perde il filo, l’obiettivo. Questa partita è stata metabolizzata come fosse una legge di Bilancio pagata dall’Europa: ha preso il via un meccanismo, mentale oltre che pratico, in cui il Piano è diventato una specie di manovra da cui ogni partito, ogni pezzo di partito, ogni Regione e Comune ha cercato di ricavare qualcosa. Esattamente quello che abbiamo visto nella legge di Bilancio di dicembre: bisogna certamente dire che vanno considerate molte attenuanti legate alla pandemia e alla crisi, ma non c’è dubbio che è stata segnata da una frammentazione addirittura superiore alle manovre precedenti, con un mare di misure, spesso con nome e cognome, che non fanno emergere un disegno per il Paese.

Un disegno che avrebbe voluto vedere indicato nel Pnrr. E invece?
Nel Recovery Plan andava indicata con forza una direzione per il futuro del Paese. E non bisognava inventare molto: abbiamo le indicazioni arrivate dall’Europa. Che ha detto chiaramente che i capitoli di spesa sono tre: sanità-coesione-inclusione, digitale, e poi il più corposo per entità delle risorse stanziate, cioè la transizione ecologica e il contrasto alla crisi climatica, che come noto deve riguardare il 37% dei fondi. Tutte cose note: ne abbiamo parlato ad esempio col commissario europeo Paolo Gentiloni alla presentazione, a fine ottobre, di GreenItaly, il report di Symbola e Unioncamere, in cui Gentiloni ha ribadito queste priorità rilanciate poi con grande forza a fine dicembre nella lunga intervista a Repubblica.

Che cosa è accaduto allora se i fondamentali erano chiari da tempo?
Abbiamo perso un mare di tempo su cose che poi si sono rivelate inutili.

Ad esempio?
Penso ad esempio agli Stati generali dell’economia: è difficile far emergere una direzione per il Paese da un’infinita serie di audizioni. E poi nella conferenza stampa finale viene fuori l’evergreen dell’abbassamento dell’Iva che ha monopolizzato il dibattito pubblico, mentre è un tema che non sta nelle missioni indicate dalla Commissione. È evidente che l’Europa non ci darà i soldi per abbassare le tasse in Italia, anzi, quel dibattito è stato quasi un assist a quelli, Mark Rutte in testa (premier olandese, ndr), che hanno remato contro questa imponente manovra che l’Europa ha messo in campo. Manovra che, come ha ricordato il presidente Sergio Mattarella nella conferenza di fine anno, non era scontata.

E penso poi anche all’operazione Colao, che al di là della qualità delle persone ha prodotto un documento che è un po’ un’enorme tesi di laurea da cui poi però non si è partiti per costruire il Piano.

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“Nel Recovery potevano esserci più fondi per il green”. A colloquio con Ermete Realacci - Daniele Di Stefano | Economiacircolare.com

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