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Microcosmi. L'evoluzione raccontata dal Rapporto Symbola evidenzia un'area positiva che fatica ad allargarsi oltre i confini dei contesti più strutturati: le piattaforme di Lombardia, Emilia-Romagna e Nord-Est

L'analisi e la casistica di impresa presentata delineavano allora timidamente, in un paese battuto dalle crisi Lehman Brothers e del debito pubblico, e perciò chiamato a incorporare a forza il vaccino dell'austerità, una via di uscita ripartendo dalla propria anima di capitalismo territoriale. Era un'operazione preziosa di coscientizzazione collettiva che consisteva nel riconoscere il valore della coesione quale ingrediente fondamentale e distintivo del nostro modo di fare impresa radicata nel capitale sociale dei territori.

Invito importante, dal momento che ancora prevaleva, nella retorica più che nei fatti, una rappresentazione del capitalismo italiano destinato alla definitiva marginalità nei nuovi scenari dell'economia-mondo. Viceversa, le diverse edizioni del rapporto hanno continuato a scavare nei territori per continuare ad alimentare una visione di futuro, mettendo in luce processi e pratiche imprenditoriali attraversate da un vitalismo riflessivo capace di ritagliarsi spazi importanti anche grazie alla leva della coesione. Addirittura, leggendo quest'ultimo rapporto, pare quasi di poter ribaltare il titolo in "Competizione è coesione", nel senso che la capacità di competere e il valore economico, non si costruiscono più prevalentemente all'interno delle mura della fabbrica, bensì al di fuori, negli "ecosistemi", nelle "reti dei saperi", nelle "infrastrutture sociali", nel "governo di relazioni complesse", nelle comunità epistemiche. Tutto vero. È quello che nel mio linguaggio ho denominato piattaforme territoriali, evoluzione dei "vecchi" distretti produttivi che entrano in connessione virtuosa con l'economia della conoscenza in rete a base urbana. È il capitalismo intermedio imperniato sul segmento delle medie imprese che organizzano filiere, funzioni territoriali, reti produttive e welfare aziendale. Non a caso, come evidenziano i numeri di Unioncamere, le imprese coesive, pari al 37% del totale delle imprese comprese nella lasse 5-499 addetti, crescono proporzionalmente al numero di addetti per arrivare al 71% tra quelle della classe 250-499 addetti. Si stimano quindi in poco meno di 5omila le imprese di questo tipo, che sembrano avere resistito meglio alla fase acuta della pandemia e che prevedono una risalita più rapida.

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Nei segnali di ripresa c'è già l'Italia del futuro ma i divari territoriali potrebbero ampliarsi | Il Sole 24 Ore | Aldo Bonomi

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