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di Luca Corsolini   

Tempo fa Massimo Gramigni, presidente adesso dell’Associazione Nelson Mandela Forum, si presentò a casa Bartali. Voleva intitolare il palasport di Firenze di cui stava per assumere la gestione al grande Gino. Gelo nella famiglia dei suoi interlocutori: chi aveva svelato un segreto così ben custodito come quello dell’impegno di Bartali per salvare tanti ebrei? “Il bene si fa, ma non si racconta” era stato il messaggio con cui Gino aveva impegnato moglie e figli.

Oggi il palasport di Firenze è intitolato a un altro Grande della Terra come Nelson Mandela, da febbraio è stata inaugurata la riproduzione in scala 1:1 della cella in cui Madiba è stato rinchiuso per 18 anni a Robben Island, e a dimostrare che la zona ha una singolare vocazione a custodire messaggi che hanno colpito la gente nelle sue emozioni più sincere, poco lontano dal Mandela Forum c’è lo stadio Franchi, con la lunga cancellata che è diventata vetrina dello straordinario affetto, sorprendente ma assolutamente sincero, per il capitano della Fiorentina Davide Astori morto il 4 marzo.

Bartali però sarà ricordato, eccome, dal ciclismo e da Israele: il Giro numero 101 parte da Gerusalemme in suo onore, ovvero di un memoria di una persona nominata nel 2013 Giusto tra le nazioni, il titolo dedicato ai non ebrei che salvarono degli ebrei negli anni del nazismo. Saranno i primi tre giorni del Giro, che per la prima volta ha una partenza extraeuropea, un omaggio anche ad Israele ma, va da sé, la corsa rosa sarà l’ennesima lunga vetrina dell’Italia.

Il giro non è semplicemente una corsa a tappa, è un’idea stessa del Paese che siamo, anzi che eravamo e che stiamo per diventare. Dal 1909 sono stati percorsi già quasi 360 mila km, in 1897 tappe che riassumono la vera ricchezza del Giro, il suo essere, ben prima di Amazon, un evento che arriva fin sulla porta di casa nel modo più semplice per un Paese che ora festeggia il restauro, per iniziative della Cineteca di Bologna, i 70 anni di un film che ha raccontato benissimo l’Italia come Ladri di biciclette. E in quel ‘48 di nuovo Bartali salvò il Paese sull’orlo di una guerra civile vincendo il Tour de France.

Ma restiamo al Giro. Chi lo disegna sa di avere una tela speciale, ma bisogna avere una sensibilità speciale per ricordarsi di quel terremoto permanente che ferisce il Paese passando dal Belice al Gran Sasso e a Rigopiano; bisogna avere una memoria che altri non hanno per far arrivare una tappa nel centenario della Prima Guerra Mondiale a Nervesa delle Battaglia; bisogna saper parlare di sport a tutti e non solo agli addetti ai lavori riportando il ciclismo cinquanta anni dopo la vittoria mondiale di Adorni all’autodromo di Imola.

Questo e questi siamo e siamo stati. Poi, oggi, siamo anche il Paese che si inventa tappe come quella che arriva sul Monte Zoncolan che sono la dimostrazione di cosa sia il turismo sportivo, un mix di emozioni tra chi cerca natura e cultura da spettatore e di chi in quelle stesse ricchezze ci si butta, o si alza sui pedali, trattandosi di salita, da praticante. In fondo, siamo quelli che hanno voluto una bicicletta e si sono messi a pedalare.

E proprio lo sport che più profuma di antico, perché nato sulla strada, ci porta nel futuro. L’arrivo a Roma il 21 maggio, poco più di un mese dopo l’esordio del Gran Premio di Formula E all’Eur, ha anche un significato politico, sono i Cinque stelle che provano a farsi perdonare dallo sport dopo la rinuncia a Roma 2024. Ma conta ancora di più quello che sta facendo lo sponsor della maglia rosa. Enel, una delle poche aziende di rilevanza mondiale che ci è rimasta, ha un ruolo di primo piano nella Formula E e nella Moto E che parte nel 2019 (e in entrambi i campionati sono made in Italy i mezzi, le auto realizzate da Dallara e le moto realizzate da Energica). Non è solo questione di risorse, è anche e soprattutto una questione di progettualità. E con questo spirito, e questa coerenza, Enel lancia quest’anno il Giro d’Italia per e-bike, insomma a pedalata assistita. Si parte da Catania e si arriva a Roma, nella città dove più che altrove si decide il destino del Paese, e dunque impegnare vip sportivi come Davide Cassani, Jury Chechi e Antonio Rossi vuol dire dimostrare che una e-rivoluzione è possibile, grazie al contributo di tutti.

Il Giro Elettrico è la vera carica del 101, un messaggio che può ispirare chiunque, perché certo non è da tutti salire con le proprie forze sullo Zoncolan, ma è da tutti scoprire e ricoscopre l’Italia grazie alla pedalata assistita, che oltre tutto ha un valore anche sociale, perché carica e ricarica sono quello di cui abbiamo bisogno tutti: Italia, italiani, la nostra tecnologia quotidiana, persino i conti della salute pubblica che possono diventare più leggeri se diventiamo un popolo più in forma. E ancora, è giusto dire che il Giro Elettrico è un gioco di squadra che può esaltare uno sport straordinariamente individuale: Rcs organizza, Enel mette il carico, anzi la carica più pesante, e Pinarello, che continua a essere un vanto del made in Italy anche adesso che la proprietà e in mani straniere, le bici.

Il film di De Sica è considerato un capolavoro del neorealismo, se ci saranno ladri di biciclette anche al Giro Elettrico questi li troveremo tra hacker ed esperti di tecnologia: segno dei tempi. Quello che non cambia è appunto il Giro, la Bell’Italia che grazie al comune presidente Urbano Carirto si unisce alla Gazzetta dello Sport per raccontare e, meglio, farci raccontare un amore infinito.

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