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L'Italia è seconda al mondo (dopo la Germania) per propensione alla sostenibilità. Ma non è un "merito',
quanto piuttosto una necessità. Intervista a Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola.

ITALIA PARTE IN VANTAGGIO NELLA
CORSA ALL'ECONOMIA GREEN GRAZIE A
UN DNA PRODUTTIVO ABITUATO A FAR
FRONTE ALLA SCARSITÀ DI MATERIE PRIME, E ANCHE PER QUESTO RISPETTOSO
DELL'AMBIENTE. Ma è un vantaggio che rischia di non essere compreso e quindi sfruttato appieno. Parola di Ermete Realacci, presidente della fondazione Symbola, che in questa intervista avverte: per aiutare le imprese italiane a esprimere la loro vocazione green ci vuole la consapevolezza delle loro caratteristiche uniche
al mondo, accompagnata da regole certe. Secondo l'ultimo rapporto Greenitaly
realizzato con Unioncamere, sono oltre 432mi1a le imprese che hanno investito negli ultimi 5 anni in prodotti e tecnologie green, quasi una su tre; e proprio le imprese green hanno dimostrato di reagire meglio alla crisi pandemica in termini di fatturato, occupazione, investimenti in R&S. Realacci, anche in Italia cresce la spinta alla produzione green? Negli ultimi anni è sistematicamente cresciuta la quantità di imprese che ha fatto investimenti orientati in senso ambientale. Ma voglio essere chiaro: questi investimenti spesso non sono dovuti a sensibilità ambientali specifiche, ma all'antropologia produttiva italiana. Per dirla con lo storico dell'economia Carlo Maria Cipolla, sono dovuti alla maniera in cui nel corso dei secoli si è organizzata la capacità dell'Italia "di produrre all'ombra dei campanili cose belle che piacciono al mondo".

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