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di Luca Corsolini   

Francesco Franchi, figlio di Artemio, dice che una delle emozioni più belle che si possa provare è quella di camminare a piedi nudi sull’erba di Coverciano: colonna sonora il silenzio, la compagnia idea di tutti i giocatori e gli allenatori passati per il centro tecnico della Federcalcio.

Ci sono tante oasi del genere nello sport italiano. Una di queste è il Foro Italico: il bar del tennis è il ritrovo migliore per chi oggi non trova in città altre eredità della Dolce Vita. La settimana prossima l’oasi di pace diventerà una camminata nel centro cittadino in un giorno di festa per gli Internazionali che di tante feste sono una delle più romane: letteralmente interpretata dalla gente. Vero che pochi, per non dire nessuno, sanno che si può prenotare una visita al Foro Italico con tanto di guida che racconta i segreti di questi Parco Olimpico ante litteram. Meno vero, speriamo, che tutti cammineranno nella zona dei campi da tennis senza sapere di appoggiare i piedi sulle targhe che ricordano, a terra, come in una vera walk of fame, le glorie dello sport italiano. E se non fosse per l’impegno certosino di Gianni Clerici nel raccontare il presente del tennis continuando la ricerca delle origini dello sport dei gesti bianchi, pochi saprebbero che una testimonianza sulle prima palline da tennis risale al sedicesimo secolo ed è stata rinvenuta a Jesi.

Insomma, parliamo di tennis. Ma parliamo di tennis alla maniera nostra, per applaudire il made in Italy o, in questo caso, riportarlo alla memoria, specie adesso che Giovanni Malagò, rieletto alla presidenza del Coni, dice di voler convocare a novembre gli Stati Generali dello sport Italiano. Non sarebbe male se non si parlasse solo di atleti e di risultanti, di medaglie e di sogni olimpici, come quello rappresentato dall’intenzione di candidare Torino e guarda caso il suo palasport olimpico come sede permanente delle nuove competizioni tennistiche a squadre che stanno prendendo forma. Bisognerà parlare appunto di Made in Italy, di saperi che abbiamo perso, di griffe che dominavano il mondo e adesso di italiano hanno conservato poco, se non lo stile. Se non la memoria.

Perché il 76 mirabile di Panatta non è stato solo l’anno in cui Adriano ha vinto gli Internazionali di Roma e Parigi, guidando la nazionale alla vittoria in Davis a Santiago del Cile raccontata persino da un film, Maglietta Rossa di Calopresti, che racconta appunto il successo anche politico degli azzurri che per una volta cambiarono colore per mandare un messaggio a Pinochet ( e pure a quanti volevano che ci si astenesse dalla trasferta per non mescolarsi troppo col dittatore ). Erano quegli gli anni in cui il Made in Italy trionfava sui campi da tennis. Oggi la Superga, passata nelle mani del sempre effervescente gruppo che fa capo a Marco Boglione, ha nei negozi una scarpa firmata proprio Panatta, con la leggendaria rondine come logo.

Ma in quegli anni il segno italiano era soprattutto dato dall’abbigliamento. La Fila di Biella, nata nella forma che conosciamo oggi nel 73, una F maiuscola rossa e blu disegnata da Sergio Privitera, prendendo spunto dal baseball aveva disegnato una maglietta con le righe. La indossavano Panatta e, soprattutto, sia detto senza offesa, Borg. Era la rivoluzione nel tennis abituato da sempre al bianco che ancora resiste in quel tempio che è Wimbledon. E se Borg era l’acqua santa, o almeno il talento composto, persino un po’sofferente, il diavolo era Mc Enroe vestito da Sergio Tacchini. Il quale Tacchini, come il Lacoste francese, veniva dal tennis giocato, con qualche campionato italiano vinto.

Oggi chi vuole ripercorrere la storia di Fila trova a Biella il Museo della Fondazione voluto dal nuovo proprietario, il coreano Gene Yoon che prima di rilevare il marchio se ne era innamorato. Ed è pure orientale la proprietà del marchio Tacchini, in capo a Billy Ngook: non riuscito un tentativo di riportare il marchio con la S che contiene la T in Italia. La cosa curiosa, ma non tanto, perché parliamo del sapore tutto nostrano di avere a che fare con i filati, è che sia Fila che Tacchini sono nate in Piemonte, a pochi chilometri l’una dall’altra. Della stessa zona, il marchio Cerruti 1881 che vestiva Jimmy Connors. Bisogna fare invece un giro d’Italia per trovare altre storie: il maglificio L’Alpina che sceglie un canguro per il suo marchio Australian che strizza l’occhio a un paese che ha dato tanto al tennis; e si arriva fino in Umbria per raccontare un altro capitolo dedicato alle aziende che prendono il nome dal fondatore come succede con la Ellesse che si chiama così in onore di Leonardo Servadio.

E ancora, potremmo parlare della Castle di Castelfidardo, che evidentemente non è solo culla di fisarmoniche e strumenti musicali. Qui c’era un’azienda che realizzava telai per racchette completate poi da altri.

Hanno un’idea anche vaga di queste storie tutti gli spettatori, giovani e meno giovani, che passeggeranno nel Foro Italico globalizzato in compagnia di marchi certo non made in Italy come adidas, Nike, persino Uniqlo, i giapponesi ultimi arrivati ma molto determinati a guadagnare spazi? Oggi il tennis è tornato di moda e noi siamo stati la moda nel tennis. Sarebbe bello, e pure giusto, se se ne parlasse agli Stati Generali voluti da Malagò. Nel caso, un suggerimento, relativo al fatto che un censimento profondo delle passioni sportive porta sempre lontano: non dimentichiamo l’associazione dei collezionisti.
Lo sport non può fare a meno della memoria.

Luca Corsolini - Symbola

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