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La raccolta differenziata è entrata nelle cucine e nelle abitudini degli italiani al punto da essere diventati i più virtuosi in Europa: secondo la fondazione Symbola abbiamo la più alta percentuale di riciclo sulla totalità di rifiuti raccolti (79%). Quando parliamo di rifiuti urbani, è l’organico (o “umido”) a farla da padrone con il 40% della quota. E di questo 40%, oltre la metà è scarto alimentare (60%). Le regole per riciclare correttamente l’umido sono poche ma inflessibili. Per prima cosa serve il sacco giusto, “biodegradabile e compostabile” certificato, con la dicitura dello standard europeo Uni En 13432:2002 e il marchio di un ente come il Cic (Consorzio compostatori italiani). La seconda regola riguarda il contenitore. Se l’umido dà cattivo odore probabilmente stiamo usando quello sbagliato, cioè senza fori di areazione. I cestini forati permettono l’evaporazione della condensa e la riduzione del volume dei rifiuti fino al 15%. Evitano la fermentazione e la formazione di liquidi e di odori sgradevoli. Infine, un veloce ripasso su cosa può finire nella raccolta dell’umido: scarti di preparazione di tipo vegetale o animale; fiori appassiti (ma non piante malate o legno verniciato); sughero; cibo secco degli animali domestici. Anche fazzoletti di carta e tovaglioli bianchi (non plastificati e non stampati o colorati). Un discorso a parte va fatto per i gusci di molluschi. L’istinto ci suggerisce di destinarli all’umido, perché di origine animale. Tuttavia, per la loro particolare composizione in pietra calcarea non sono biodegradabili e hanno tempi di smaltimento molto lunghi. Prima della prossima spaghettata di mare, meglio consultare il sito del nostro Comune di residenza e scoprire come smaltirli.

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Differenziata, attenti al guscio: l'umido senza segreti | Flavia Carlorecchio | Green&Blue

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