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Attraverso l'interconnessione digitale, il consumatore può essere un soggetto attivo capace di orientare le scelte e i modi della produzione.
Dal settore fashion a quello agroalimentare, sempre più 'micro segmenti' di mercato si interfacciano direttamente con l'utente, al fine di ottimizzare i meccanismi verso un consumo più consapevole.

Daniela Ostidich, Domenico Sturabotti

Oggi grazie anche al web e alle piattaforme digitali le imprese entrano in relazione diretta con i propri clienti che ne valutano l’operato, ne giudicano i prodotti e sempre più spesso co-progettano con loro beni, servizi e iniziative. Questa relazione non è solo generatrice di valore, ma apre la possibilità a nuove iniziative imprenditoriali di sviluppo e persino alla nascita di nuove forme di impresa. Vediamo come. Già dagli anni Ottanta, a fronte di un nuovo “sentire” dei consumatori che iniziavano a rifuggire dall’appartenenza alla “massa” e chiedevano il riconoscimento della propria individualità non replicabile, molte aziende hanno avviato azioni di marketing volte a personalizzare i prodotti dietro indicazioni dei propri clienti.

Queste operazioni spostano l’offerta dalla “massificazione” alla “mass customization”, cioè la diffusione di una molteplicità di varianti di prodotto su richiesta dei singoli consumatori, che in effetti diventa una modalità standard di produzione a condizione di una elevata flessibilità produttiva e efficienza distributiva.

Molti di questi prodotti si prestano a essere personalizzati davanti agli occhi dei clienti (ad esempio le scarpe Adidas personalizzate da artisti writer all’interno del punto vendita secondo le indicazioni dell’acquirente), altri invece al momento dell’ordine (ad esempio le autovetture personalizzate in carrozzeria e le calzature Converse personalizzabili al momento dell’ordine on line).

Il passaggio da una produzione di massa al riconoscimento dell’esistenza di “micro segmenti” di mercato (tendenzialmente uno per ogni consumatore) è storia ormai già passata, anche se sempre apprezzata dai consumatori che chiedono di uscire dall’uniformità di prodotti di massa per accedere all’unicità della propria persona anche attraverso una presunta “unicità” di acquisti. È una strada inevitabile spesso percorsa da aziende di consumo di grandi dimensioni che – come già accennato – comporta un modo diverso di concepire il marketing e la comunicazione (sempre più one to one) e che implica flessibilità operativa e distributiva. Un’evoluzione necessaria in sintonia con le abitudini di consumo. Non ancora una vera “relazione”, ma almeno un passo in avanti nel riconoscere la voce dell’individuo dentro la massa indistinta. Ma il processo di innovazione continua: dalla personalizzazione del prodotto si è passati all’ascolto diretto delle opinioni dei consumatori sulle strategie e le politiche delle aziende sino ad arrivare al loro coinvolgimento. Ovviamente la diffusione del web come piattaforma di incontro tra acquirenti (o meglio nuovi stakeholder delle aziende) e divulgazione delle informazioni, ha reso il tutto possibile con facilità. Il nuovo consumatore non si limita più ad acquistare e neppure a giudicare magari all’interno di blog l’operato delle aziende. Il nuovo consumatore “entra” a tutti gli effetti dentro le scelte delle stesse, facendosi portavoce e testimonial, fino a diventarne finanziatore e azionista.

Nel mondo del consumo il focus si è spostato dal “possedere” prodotti (magari unici e personalizzati) all’orientare le scelte e i modi della produzione degli stessi.

L’idea di fondo è che il terreno ambientale e sociale in cui la produzione avviene sia un bene collettivo e che i ruoli di tutti i soggetti che intervengono nell’atto di produzione e consumo ne debbano essere coscientemente coinvolti (1).

La differenza la fa quindi il modo con cui le aziende vivono questo dialogo pubblico con il proprio consumatore: nessun apporto di valore per le aziende che si limitano a confinarlo nell’ambito delle pubbliche relazioni, grandi possibilità di successo e rilancio per le aziende che invece lo vedono come uno strumento di crescita e miglioramento, una base su cui orientare le proprie strategie e priorità, la possibilità che questo dialogo possa essere l’inizio di una relazione più intima e vera con i propri clienti. Si veda il caso de La Marca del Consumatore, dove gli utenti sono chiamati a scegliere quale prodotto commercializzare e a che prezzo, indicando gli standard in termini di sostenibilità, qualità ed equo compenso.

Cheerful happy woman enjoying shopping: she is carrying shopping bags and running to get the latest offers at the shopping center

In questo modo, sia i prodotti, sia il processo che li ha generati vengono decisi dai consumatori stessi, che possono monitorare ogni fase del ciclo produttivo attraverso l’associazione. I clienti diventano così i designer dei prodotti che consumano. Ma la vera evoluzione nel senso di “rete” e coesione, che trasforma radicalmente il rapporto subalterno tra aziende e consumatori, il passaggio più significativo da consumer a prosumer è rappresentato oggi dal fenomeno del crowdfunding (2). Si tratta un processo collaborativo di un gruppo di persone (che non si conoscono e il cui numero non è definito) che utilizza il proprio denaro “in comune” per sostenere gli sforzi di persone, organizzazioni e start-up. Nelle forme più ricorrenti il finanziamento è erogato a fronte della possibilità futura di godimento del bene o servizio che verrà prodotto e ceduto al consumatore-finanziatore una volta che saranno recuperate tutte le risorse necessarie per avviare l’attività imprenditoriale. Si tratta di una “scommessa” collettiva, o meglio un atto di fiducia e sottoscrizione, di un progetto di impresa che a questo punto vede il proprio cliente trasformarsi in “azionista” dell’impresa stessa. Esempi di crowdfunding hanno coinvolto tutti i settori dei possibili consumi: arredo e giardinaggio, petcare, accessori per coworking o mobilità, abbigliamento, food ma anche ristorazione o ospitalità. Tutti progetti che comunque hanno una forte componente di sostenibilità ambientale e sociale, che nascono sul concetto di comunità consenziente e solidale nei modi e negli obiettivi. Con il crowdfunding si realizza una “circolarità” dell’economia che vede il consumatore non più come oggetto passivo, colui che consuma, ma come attore in grado di determinare in modo lucido le direzioni dell’economia di domani.

 

 

(1) Il livello più banale è la possibilità di dar voce alla società del consumo tramite gli amplificatori dei social e dei blog, passando a quello
delle recensioni che ormai sono parte costituente del sistema di vendita di molte piattaforme di e-commerce (oltre Tripadvisor – che in fin
dei conti ospita recensioni di esperienze altrui – per arrivare a portali generalisti come Amazon o specialistici come Zooplus) fino a diventare a tutti gli effetti contenuto – cioè consigli di scelta e utilizzo da parte di altri consumatori al posto di venditori – per siti di e-commerce proprietari. Per le aziende di ogni ordine e grado questo vuol dire avere coscienza di rapportarsi con un mondo più ampio, di potere essere sotto la lente dei riflettori di consumatori e pubblica opinione i cui giudizi si possono trasformare immediatamente in una flessione delle vendite più a lungo termine in un danno di immagine difficile da recuperare (se pensiamo al mondo della pasta di semola ci vengono in mente subito i casi di Barilla a cui è bastata una intervista di sapore omofobico di un manager alla radio per vedere un calo immediato di vendite dopo un attacco pubblico e una conseguente necessaria rettifica, piuttosto del caso della Molisana e del nome colonialista di un formato).

(2) Da “crowd”, folla in inglese, e “funding”, finanziamento, in italiano traducibile come finanziamento collettivo.

 

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