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Le attuali transizioni stanno spingendo le imprese verso nuovi modelli organizzativi. L'azienda viene ora intesa come centro di aggregazione tra leadership e citizenship, favorendo un'ottica comunitaria tra ente e lavoratore per co-creare valore.

Luca Gallotti, Domenico Sturabotti

Nei paragrafi precedenti abbiamo analizzato come la transizione ecologica, la nuova centralità dei territori e l’accelerazione dei processi di innovazione spingano verso modelli di business basati sulle relazioni.

Relazioni in forte evoluzione come quella tra impresa e dipendenti che vede il lavoro non più solo come un diritto, ma come un bisogno identitario insopprimibile della persona, con cui sviluppare a pieno le sue capacità (1).

Ciò implica il superamento dell’organizzazione basata sulla rigida divisione e specializzazione fra chi dirige e chi esegue e che riporta alla mente le idee di imprenditori illuminati come Adriano Olivetti o studiosi come Henry Mintzberg, che hanno teorizzato l’impresa come comunità. Superamento che implica un passaggio da un approccio di leadership a quello di “communityship”, ovvero una forma di leadership che si fonda su un’idea di management impegnato e diffuso (2).

In questo modo l’impresa risulta più flessibile e rapida nell’attuare risposte efficaci di fronte a nuove sfide o criticità come quella che stiamo vivendo in questo periodo, perché più coesa in quanto tutti i suoi attori compartecipano al superamento della crisi. Riprogettando la relazione tra impresa e lavoratori inoltre cresce la capacità espressiva del lavoratore che diventa co-decisore o associato (ved. storia di Honda nell’ultimo capitolo del presente rapporto), rispetto a quelle che sono le scelte aziendali. Un chiaro esempio di questa evoluzione del rapporto è offerto dal welfare aziendale, il quale non è più solo e semplicemente il riconoscimento di una serie di benefit scelti e assegnati dall’azienda, ma l’occasione per una conoscenza più profonda dei lavoratori attraverso l’ascolto dei loro bisogni che porta alla creazione di servizi co-progettati. Un esempio interessante in questo ambito è quello di Illumia di Bologna, per il suo progetto di welfare completo e articolato costruito con l’ascolto e il contributo dei dipendenti che prevede una grande flessibilità oraria con l’istituzione dell’“orario mamma” ridotto e iniziative “salvatempo” come la lavanderia aziendale e la spesa online con consegna al lavoro e apprezzatissime convenzioni in ambito sanitario, ricreativo e culturale accompagnate da un programma di formazione e sviluppo manageriale in grado di abbattere barriere e consentire a tutti processi di crescita aziendale. Una partecipazione che può essere stimolata attraverso pratiche di organizzazione della comunità aziendale, favorendo gruppi di lavoro che stimolati e guidati da un manager permettono la messa a punto di nuove soluzioni e idee. Un meccanismo che supera i modelli rigidi, gerarchici e del passato, che spesso diventa anche una grande occasione di innovazione per l’impresa.

Sono nati così in Google, in cui vige la regola del “20% di tempo in più”, ovvero la possibilità per i lavoratori di dedicare fino a un quinto della loro settimana lavorativa a progetti collaterali, iniziative non marginali che nel corso del tempo hanno fatto la fortuna dell’azienda: da Gmail per la posta elettronica a Google News per le notizie e Adsense per la pubblicità. Tre servizi che portano nei portafogli dell’azienda oltre 50 miliardi di dollari l’anno.

Un’azienda virtuosa e competitiva mostra oggi la capacità di bilanciare leadership, capacità di gestire le comunità community ship e citizenship (3), cioè la capacità di pensarsi come una comunità unica, che in alcuni casi condivide anche il capitale.

Un caso è quello di EssilorLuxottica. L’azienda ha infatti una partecipazione azionaria dei dipendenti all’interno del Gruppo pari al 44%. Parliamo di circa 63.000 dipendenti in 81 Paesi a cui si aggiungono oltre 10.000 dipendenti che detengono azioni dell’azienda, a dimostrazione del loro impegno e la loro fiducia nella società. Infine tra le forme di partecipazione diretta dei lavoratori va sicuramente citato il workers buyout (WBO), che rappresenta un’azione di salvataggio dell’azienda, o di una sua parte, realizzata proprio dai dipendenti che subentrano nella proprietà. Il fenomeno ha trovato una significativa applicazione in Italia, dove le società cooperative esito di WBO attualmente impiegano oltre 4.000 dipendenti e generano un fatturato totale di circa 490 milioni di euro. Recentemente le tre centrali cooperative Agci, Confcooperative e Legacoop hanno sottoscritto un accordo con le organizzazioni sindacali Cgil, Cisl e Uil, per promuovere la diffusione e il consolidamento dei workers buyout cooperativi, in applicazione degli impegni presi nell’Accordo Interconfederale del 2018. Indicando lo strumento tra le possibili soluzioni per scongiurare in questa fase delicata per l’economia la perdita di occupazione, riducendo così il ricorso agli ammortizzatori, dando continuità alla impresa e generando un aumento del gettito fiscale per via delle entrate derivanti da imposte e oneri previdenziali corrisposti dalla nuova impresa (4). In un’ottica sistemica, il valore intangibile portato dall’evoluzione della relazione tra impresa e lavoratore rappresenta la premessa per il passaggio da un’impresa che si limita a creare e distribuire prodotti, ad una invece che intende costruire comunità larghe in grado di creare valore per tutti, anche economico (5).

 

(1) Venturi P., Il bisogno del lavoro, tempi-ibridi.it, 22 giugno 2018. https://www.aiccon.it/ bisogno-del-lavoro/

(2) https://www.allos.it/leadership-diffusa/

(3) Mintzberg H., Rebuilding Companies as Communities, Harvard Business Publishing, luglio/agosto 2009.

(4) https://www.confcooperative.it/LInformazione/Archivio/workers-buyout-ecco-come-battere-la-crisi

(5) Bussgang J. e Bacon J., When Community Becomes Your Competitive Advantage, Harvard Business Publishing, 21 gennaio 2020.

 

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