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Il crollo del ponte Morandi a Genova e l’incendio di Notre Dame a Parigi pongono con forza il tema della manutenzione nell’agenda politica, sia per le opere moderne sia per quelle storiche, un fronte d’impegno in cui le professionalità italiane giocano un ruolo importante

Il crollo del ponte Morandi a Genova e l’incendio di Notre Dame a Parigi pongono con forza il tema della manutenzione nell’agenda politica, sia per le opere moderne sia per quelle storiche, un fronte d’impegno in cui le professionalità italiane giocano un ruolo importante. Potrebbe anche essere l’occasione per rilanciare il progetto di una filiera del legno italiana che implica una corretta gestione e manutenzione dei boschi nelle aree interne. La sensibilità ecologica si diffonde sempre di più attraverso mostre, concorsi di riutilizzo di aree dismesse e nuovi comportamenti virtuosi di massa, mentre la progettazione di eventi diventa un campo collaterale della professione architettonica.

Passano sette mesi esatti fra il 14 agosto 2018 e il 15 aprile 2019, vale a dire fra il crollo del viadotto del Polcevera, meglio noto come Ponte Morandi, e l’incendio del tetto di Notre Dame a Parigi. Nel capoluogo ligure, polo del vecchio triangolo industriale novecentesco oggi escluso dai grandi flussi economici, il crollo del ponte ha rivelato la fragilità delle infrastrutture del dopoguerra progettate dai campioni italiani del cemento armato — Pier Luigi Nervi, Riccardo Morandi, Silvano Zorzi —, oggi tutte sottodimensionate rispetto al volume di traffico aumentato.

Se però il traffico automobilistico aumenta, Genova diminuisce per abitanti ed economia e la catastrofe ha svelato le vere capacità del suo porto oggi messe in crisi dal crollo. Le reazioni a queste due catastrofi sono state espressioni di due diverse forma mentis, quella italiano e quella francese. Da noi è iniziata una discussione tutta mediatica sulle responsabilità del crollo seguita da un lungo mercanteggiamento istituzionale e operativo sul da farsi — con proposte di ricostruzione su modello megastrutturale avanzate dallo stesso ministro Toninelli —, sfociato con una tardiva nomina a commissario del sindaco Marco Bucci e la scelta di un progetto “regalato” da Renzo Piano, al di sotto del suo livello e contro la sua storia di esperto di carpenterie metalliche modello Beaubourg.

Il giorno dopo l’incendio di Notre Dame, invece, il primo ministro francese Édouard Philippe si è presentato davanti alle tv indicendo un concorso ufficiale per la ricostruzione della più importante cattedrale gotica. La nomina del sindaco a commissario ha azzerato la discussione: conviene di più oggi fare un ponte in cemento armato o in metallo? L’azienda di Pordenone, Cimolai, ha presentato autonomamente quattro progetti alternativi (tre dei quali firmati da Santiago Calatrava) tutti più interessanti del banale viadotto poi scelto. I costi della manodopera per le grandi casseforme cementizie superano di gran lunga il costo dei materiali, viceversa il più alto costo dell’acciaio è compensato dal minor tempo di esecuzione e dunque della manodopera, ma evidentemente l’analisi costi-benefici vale solo per la TAV e non per gli altri cantieri. In Italia nulla è sistemico, non sono stati organizzati concorsi neanche per nessuna città media o piccola del cratere sismico del Centro Italia, solo incarichi diretti, preferibilmente sotto soglia, o progetti frutto di donazioni private che sfuggono qualsiasi piano regolatore o territoriale, vedi il proliferare di scuole iper-accessoriate in zone a natalità prossima allo zero.

Manutenzione, pianificazione, programmazione sono termini scomparsi dall’agenda del “governo del cambiamento”, anche se il problema è certamente più antico come diceva Leo Longanesi, alla manutenzione, l’Italia preferisce l’inaugurazione. L’incendio della grande cattedrale gotica francese invece sottolinea ancora una volta l’importanza della dimensione simbolica dell’architettura: l’immediata ricostruzione attraverso concorso e con una procedura così rapida ha sollevato critiche per l’eccessiva rapidità: Umberto Napolitano dello studio LAN, impegnato nel restauro del Grand Palais, ha osservato come da alcuni anni si stia cercando di potenziare la filiera del legno in Francia, e come questo materiale dovrebbe essere utilizzato nelle sue forme più moderne (lamellare ad esempio) anche in omaggio alla tradizione dei maestri d’ascia dell’Ile de France che realizzarono la copertura di Notre Dame.

Sono molti i progetti di grattacieli in legno attualmente in costruzione a Parigi, lo stesso studio LAN ne ha uno in corso, ma anche il Green Office ENJOY di Scape (insieme con Baumschlager-Eberle) a Batignolles o la Forêt blanche di Stefano Boeri architetti e molti altri. Anche in Italia la questione dell’economia circolare legata alla filiera del legno è stata posta dal padiglione italiano alla scorsa Biennale di Venezia diretta da Mario Cucinella e dedicato alle aree interne appenniniche dove i boschi sono triplicati o più nel corso dell’ultimo mezzo secolo, ma occorre un grande sforzo di programmazione e manutenzione, appunto. È auspicabile che il prossimo direttore del padiglione Italia, Alessandro Melis, appena nominato dal Ministero dei Beni Culturali, possa riprendere il discorso l’anno prossimo grazie al tema scelto, Comunità resilienti. In ogni caso la sensibilità verso il riscaldamento globale e la necessità di procedere verso un’economia circolare anche in edilizia si sta sviluppando anche in Italia sull’onda del grande movimento d’opinione internazionale Fridays for Future lanciato dalla teenager svedese Greta Thunberg, non scevro da risvolti millenaristi.

La città più ricettiva nel nostro paese, nonostante la grande manifestazione giovanile svoltasi a Roma il 23 marzo, è senza dubbio Milano dove, nella Triennale rinnovata da circa un anno è in scena la mostra Broken Nature curata da Paola Antonelli e da un team di curatori che attraverso una serie di installazioni, oggetti, infografiche e padiglioni nazionali mostra sia le informazioni principali sul deterioramento ambientale in corso sia su possibili comportamenti da recepire per contrastarlo, con un ruolo preponderante rivestito dal design. Non è un caso che sia Milano ad ospitare e condividere più di altri queste preoccupazioni, dato che è la città dove le pratiche del bike e car sharing sono più e meglio diffuse, dove i mezzi pubblici sono sviluppati di più e meglio, i taxi sono tutti elettrici o ibridi ecc. Inoltre Milano organizza ancora concorsi come quello ambizioso per il riutilizzo dell’ex Scalo Farini vinto dal gruppo formato da OMA (Ippolito Pestellini Laparelli) e Laboratorio permanente (Nicola Russi e Angelica Sylos Labini): una nuova grande area verde per la città, ma dove vi saranno anche uffici, servizi, residenze e social housing per contenere il rincaro continuo degli affitti che la città conosce ormai da un po’.

A Roma invece si procede in direzione del tutto contraria: il governo infatti procede verso il varo della famigerata “centrale unica di progettazione”, un ente dirigistico, paternalista, lesivo verso la libera professione e quanto di più lontano dall’idea di partecipazione propugnata nei fatti da Giancarlo De Carlo – di cui quest’anno ricorre il centenario dalla nascita. A rendere ancora più fosco il quadro c’è stata la violenta campagna mediatica di Vittorio Sgarbi, candidato a sindaco di Ferrara, volta a bloccare l’ampliamento del museo di Palazzo dei Diamanti, un padiglione reversibile progettato nel parco retrostante dallo studio romano Labics che aveva già ottenuto tutte le autorizzazioni necessarie dagli enti previsti; un’operazione perfettamente riuscita.

Per quanto riguarda l’evoluzione della professione va segnalata l’attività di alcuni architetti come Pestellini Laparelli e altri che a Palermo ha dato vita a Manifesta, un grande evento nella città siciliana che durante la scorsa estate ha attirato artisti, galleristi, collezionisti e più in generale turisti solitamente non previsti. Il grande restauro di Palazzo Butera attualmente in corso, il recupero di altri edifici abbandonati in parallelo con la pedonalizzazione di alcuni assi viari centrali ed esperimenti sociali come il Giardino planetario al quartiere Zen del gruppo francese Coloco legato a Gilles Clément, segnalano la possibilità di una costruzione immateriale dell’architettura attraverso una rete di eventi e interventi leggeri in grado di rivitalizzare, se non rigenerare, alcune parti di città così come a Matera capitale europea della cultura 2019 e, anche se
in modo diverso, a Venezia dove sempre di più si stanno insediando Fondazioni culturali internazionali come quella dell’architetto parigino Jean-Michel Wilmotte e molte altre ancora.

Roventi polemiche hanno investito inoltre il concorso per il padiglione italiano al prossimo Expo di Dubai 2020, dove si sono classificati al terzo posto il gruppo di Dodi Moss ed Edoardo Tresoldi con un edificio a struttura a rete leggera del tipo di quelle ormai notissime dello scultore milanese, qui integrata con la vegetazione rampicante; secondo classificato è Gianluca Peluffo & Partners con un insieme di architetture eclettiche in sequenza che mimano una città; infine il primo premio è andato al gruppo diretto da Matteo Gatto, Carlo Ratti e Italo Rota: tre barche rovesciate e rivestite da un grande panneggio che ai più è parso una “svendita del progetto”, mentre chi conosce Rota da vicino sa che pratica da sempre l’arte del riciclo (le navi fornite da Fincantieri, torneranno indietro via mare dopo la chiusura) e si tratta dunque di una provocatoria interpretazione della sostenibilità portata all’estremo.

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