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di Luca Corsolini   

Ci sono talmente tante cose di cui parlare in questa primavera di straordinaria fioritura del made in sport che dovrebbe essere proprio questa la notizia più importante. Gli internazionali di tennis a Roma, il Giro elettrico, altro …
Ma succede anche che le notizie di tragedie in montagna si accavallano con tanta e tale frequenza che diventa questo l’argomento più evidente, anche perché fotografa, persino in negativo, che oggi il turismo esperienziale, filone principale del turismo sportivo, non accetta confini, né fisici, né meteorologici.
“L’arte della montagna è la sopravvivenza” è la dichiarazione di amore, e di rispetto, di uno che la montagna la conosce bene. Reinhold Messner, dopo aver raggiunto per sé e per tutti noi, le cime più importanti del mondo, ha realizzato tra Sud Tirolo e Bellunese il Messner Mountain Museum, un circuito di sei strutture che trasforma ogni visita come un’ascensione in quota. La tappa più bella quella di Corones che appunto incorona la visione del grande alpinista: voleva un luogo del silenzio e della decelerazione, lui che oggi dichiara con qualche rimpianto che 40 anni fa, ai tempi delle sue esplorazioni, alla base dell’Everest c’erano 20 persone, mentre oggi ce ne sono permanentemente almeno mille, con tutto quello che questo comporta in termini di contaminazione dell’ambiente. Zaha Hadid ha realizzato magnificamente il progetto: la montagna ti avvolge, e lo sguardo può abbracciare i quattro punti cardinali.

Dunque, primo comandamento: la montagna bisogna conoscerla. Amarla. Viverla come un’esperienza quotidiana. È la storia di una azienda valdostana nata a Courmayeur addirittura 200 anni, e spostatasi oggi più vicino ad Aosta non solo per il solito richiamo del progresso ma anche e soprattutto perché i dirigenti hanno voluto realizzare un nuovo stabilimento completamente alimentato da energia solare, appunto rispettosa dell’ambiente.

Parliamo della Gliver. All’inizio dei maniscalchi che producevano attrezzi per l’agricoltura, poi e sempre una famiglia che capisce che una nuova forma di turismo avanza: la gente vuole scoprire la montagna. Che si apra un nuovo mondo, lo dimostra il primo incontro risolutivo: un ingegnere inglese di origini tedesche chiede alla Gliver di realizzare dei nuovi ramponi da arrampicata. Siamo a inizio Novecento e qui comincia la storia, anzi prosegue un continuo lavoro di sintesi tra tradizione e progresso.

L’arrampicata è una sfida complessa: bisogna lavorare sui materiali, sulla loro leggerezza e sulla loro resistenza, non bastano oggetti qualunque, ogni piccozza deve essere studiata nei minimi particolari, ogni attrezzo deve aiutare gli alpinisti, sempre nel rispetto della montagna. Dall’acciaio dei primi ramponi si è passati ad altri materiali che resistono meglio alle temperature estreme, oggi in azienda ci sono anche i laser. Dai primi prodotti si è passati a un catalogo grande quanto l’Alpenland a cui Gliver si richiama, l’ambiente alpino comune a tanti paesi, e che in Italia ha per ovvi motivi un suo centro.

Duecento anni: quante sono le aziende che possono vantare una storia tanto lunga? Gliver ha una storia antica come la montagna di cui si occupa. E il segreto, nascosto in una delle pagine del sito, si richiama alla stessa filosofia di Messner: “Non esistono soluzioni universali ma per ogni problema si può adattare o creare una tecnologica specifica”.

Luca Corsolini - Symbola

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