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Contro la crisi, oltre la crisi. È questa oggi la sfida. Intervenire per mitigare gli impatti sociali ed economici, rassicurare cittadini, operatori e mercati. In maniera più o meno tempestiva ed efficace è quello che in questi mesi è stato messo in campo con dimensioni finanziarie e strategie diverse, forse anche troppo, da stati nazionali, organismi e autorità internazionali.

Occorre affrontare nella crisi i mali antichi del nostro Paese: il pesante debito pubblico, illegalità ed evasione fiscale, una burocrazia spesso soffocante, la diseguaglianza nella distribuzione della ricchezza, il Sud che perde contatto. Ma è necessario al tempo stesso avere un’idea di futuro. Si può affrontare il futuro partendo dell’Italia che c’è, puntando sulla conoscenza e sulla ricerca, sui settori più vitali e creativi: dall’innovazione tecnologica all’economia digitale, dal risparmio energetico alle fonti rinnovabili. Rinnovando la scommessa antica che tiene insieme qualità italiana, territorio e comunità.

Una nuova economia che può essere oggi vista come una straordinaria occasione per rendere non solo le nostre società più giuste, ma anche più avanzati e competitivi i nostri sistemi produttivi. Un esempio eclatante è il settore agricolo, che davanti ad una crisi epocale puntando sulla qualità delle produzioni e sul miglioramento degli impatti ambientali è riuscito a ripensarsi e riposizionarsi a partire dagli scenari, dai vincoli ma anche dalle inedite potenzialità della green economy. Non è un caso se oggi l’Istat registra nel secondo trimestre 2012 per il settore il più elevato aumento del numero di assunzioni di lavoratori dipendenti con un incremento record del 10,1% rispetto lo stesso trimestre 2011, in netta controtendenza con l’andamento generale. Un incremento che vede protagoniste le nuove generazioni: per la prima volta da almeno dieci anni aumentano i giovani agricoltori, con un incremento del 4,2% nel numero di imprese individuali.

Ma passi in avanti si stanno facendo in maniera diffusa in tutto il nostro sistema produttivo. L’Italia – che fino a qualche anno fa sembrava non aver colto questo nuovo orientamento, ultima nelle classifiche nello sviluppo di energia da fonti rinnovabili e apparentemente assente sui principali filoni di ricerca dell’ecoinnovazione – in realtà, come spesso avviene per il nostro Paese, ha recuperato questo gap e sviluppato in maniera diffusa nelle sue fabbriche e nei territori una reinterpretazione della green economy del tutto peculiare. Non è un caso se l’Ocse, nel recente rapporto sull’innovazione nei diversi paesi aderenti all’organizzazione, ha rilevato come nell’ultimo decennio le attività di ricerca nel campo delle tecnologie legate all’ambiente hanno sviluppato per il nostro Paese una vera e propria specializzazione.

Sul fronte dell’efficienza energetica, nella classifica delle 12 maggiori economie del mondo stilata dall’International Energy Efficiency Scorecard curato da Aceee, American Council for an Energy-Efficient Economy, l’Italia nel 2012 si colloca al terzo posto, dietro a Gran Bretagna e Germania, ma davanti a Stati Uniti, Giappone, Francia e Cina. Tutto questo sembra avere una ricaduta positiva anche sul versante occupazionale, posto che i green jobs – ovvero le professioni in grado di attuare con successo il connubio fra sostenibilità e competitività – risultano più presenti nel nostro Paese rispetto alla maggioranza delle altre economie leader in Europa.

Per l’Italia, più ancora che per altri Paesi, l’economia verde sta quindi rappresentando una chiave straordinaria per rigenerare il Made in Italy e, più in generale, per sostenere la piena affermazione di un nuovo modello di sviluppo all’interno dell’intero sistema imprenditoriale, fondato sui valori della qualità, dell’innovazione, dell’eco-efficienza e dell’ambiente.

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