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In meno di vent’anni, dal 1986 anno dello scandalo del metanolo, l’Italia del vino ha abbandonato la linea delle grandi quantità e dei prezzi bassi, ha tagliato le produzioni, raggiunto una qualità eccellente e un forte e positivo rapporto con il territorio. E l’anno scorso abbiamo esportato circa tre miliardi di euro di vino.
La storia dei vini italiani è già oggi la storia di una grande riconversione ecologica dell’economia, di una scommessa vincente sulla qualità. Ed è solo una delle storie che potrei raccontare, pescando fra quelle delle reti territoriali riunite quest’anno a Ravello. Tutte dimostrano una cosa: che il sogno di un’Italia di qualità può diventare una concreta realtà.
La risposta al declino dell’Italia – sembrano volerci dire queste esperienze – passa per la scommessa sulla conoscenza, sulla ricerca, sull’innovazione e la qualità. Non si può pensare e progettare un paese migliore, più competitivo, più equo e rispettoso dell’ambiente, più bello e desiderabile, se non si parte dal riconoscimento e dalla valorizzazione del capitale sociale, dei talenti nascosti nelle pieghe del nostro territorio. Non è difficile accorgersi che spesso i protagonisti di queste avventure sono stati i comuni, anche piccoli o piccolissimi. Molti di loro hanno scansato malintese idee di sviluppo imboccando invece una via originale verso la crescita economica, una via cheè fatta di nuove tecnologie e rispetto dei saperi tradizionali, di globalizzazione e insieme valorizzazione del proprio territorio (delle risorse naturali, di quelle storico-culturali, delle produzioni tradizionali). Il presidente della Repubblica Ciampi evoca tutto questo quando ricorda che, se ci interroghiamo su “che cosa sia il fondamento della nostra identità nazionale, non possiamo non pensare – in primo luogo – alle bellezze della natura, dell’ambiente, di un territorio che, indissolubilmente intrecciate con l’arte, la cultura, le tradizioni delle nostre comunità, ne fanno un patrimonio eccezionale nel mondo”. Quando sostiene che abbiamo di fronte “una realtà che ci pu£ dare prospettive di crescita, di guadagno, di qualità della vita”. Sta qui anche il senso, e il motivo del successo, di PiccolaGrandeItalia, che nel riconoscimento e nel rilancio del ruolo dei pi£ piccoli centri d’Italia, dei loro territori e tesori, ha il suo primo obiettivo.
Le Reti delle qualità territoriali sono nate proprio dall’ambizione di ridisegnare la geografia socioeconomica del Paese, partendo da un progetto per il futuro ispirato alla qualità e ancorato alle identità condivise. Ecco allora che dalla coltura di un prodotto d’eccellenza, da una pregevole caratteristica architettonica o artistica, piuttosto che da una iniziativa culturale, hanno preso corpo le Città del pane, quelle del vino, le CittaSlow, i Paesi dipinti o le Strade del vino. L’Italia è oggi tutto
un proliferare di progetti che hanno successo perché sono figli di quello spirito di squadra, tanto caro al nuovo presidente di Confindustria Montezemolo, che ha dato alle piccole realtà le energie per fare, forti della loro consolidata identità, il salto verso il mondo globalizzato. La stessa consapevolezza che anima le reti delle qualità territoriali – il piccolo è bello e di successo se supera gli angusti perimetri della dimensione localistica, se entra in una storia comune, se condivide un progetto di largo respiro – ci chiama tutti a nuove decisive alleanze. In primo luogo con quanti nel mondo delle imprese e del credito si muovono nella stessa direzione. La nuova squadra alla guida di Confindustria, ad esempio, e l’idea di una competizione d’eccellenza che porta con sé, aprono nuovi scenari. Con queste forze innovative si devono costruire un dialogo e una collaborazione serrati che, sotto la stella polare della qualità, servano a tracciare obiettivi e percorsi comuni.
E’ questa la sfida di Ravello: proporsi come luogo dove le reti si mettono in rete e incontrano gli altri attori della vita del paese, per orientare e avviare l’Italia verso un futuro di qualità e di successo.

di Domenico Sturabotti

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