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“Non mi piace dar mano che a lavori puliti, vergini, matematici, come si deve; qualcosa che cominci regolarmente dal principio, nel mezzo sia alla metà, e alla fine sia concluso”
HERMAN MELVILLE, Moby Dick

Una categoria sfuggente
La ricchezza complessiva del pianeta cresce mediamente del 3% ogni anno. Su sei miliardi di esseri umani, un miliardo dispone di un reddito annuo pro-capite che supera i 20.000 dollari. La scolarizzazione è sempre più diffusa ed elevata. I mass media ostentano quotidianamente le immagini del benessere e del lusso. Insieme all’emotività, alla soggettività, all’estetica, all’etica, all’androginóa, la qualità della vita emerge come valore primario per tutti coloro – e sono tantissimi – che intendono anticipare il paradiso qui ed ora, senza attendere un incerto premio ultraterreno.
Nella recente società industriale prevaleva il bisogno dell’omologazione, eccitato e nutrito dalle mode. Nell’attuale società postindustriale prevale il bisogno della distinzione, eccitato e nutrito dai prodotti “di qualità”.
Tuttavia la “qualità” resta una categoria sfuggente. Come e pi£ della bellezza, dell’utilità, della bontà, della verità: perché ingloba e sintetizza tutte queste virtù, accollandosi l’ambiguità di ciascuna di esse.
Possiamo affermare con sufficiente obiettività che un tavolo è quadrato; pi£ difficile è dire che quel tavolo è utile; ancora pi£ difficile è dire che quel tavolo è bello; difficilissimo dimostrare che quel tavolo “è di qualità”.
Pi£ della bellezza, della verità, della bontà, la qualità è un sistema di attributi ognuno dei quali deriva da un sistema di fattori. Diciamo che una poltrona “è di qualità” perché la sua struttura è solida, la sua pelle è morbida, il suo profumo è gradevole, la sua forma è attraente, la sua seduta è comoda, il suo design è classico. Ma diciamo che quella poltrona è “di qualità” anche perché esibisce una marca prestigiosa; resta esposta in un lussuoso negozio del centro, dove le commesse sono eleganti, cortesi e competenti; è reclamizzata con sapiente pubblicità sulle riviste patinate; è inclusa nella scenografia di un talk show di grande richiamo; è garantita da un testimonial prestigioso; compare nell’abitazione di un famoso critico d’arte riprodotta in una autorevole rivista d’arredamento; costa il triplo di ogni analoga poltrona, è garantita per l’eternità.
Difficile misurare in che percentuale ciascuno di questi fattori contribuisce alla “qualità” complessiva dell’oggetto, cosó come è difficile spiegare perché mai La Gioconda resta il quadro pi£ noto e ammirato del mondo.
Stessa cosa vale per un vino Sassicaia, per un formaggio parmigiano, per un’auto della Ferrari, per un abito di Cappucci, per una Vanity di Frau, per una lampada di Castiglioni, per un edificio di Renzo Piano, per una locomotiva di Giugiaro.
Ciú non toglie che, nel giudizio estetico, come in quello ancora pi£ complesso della qualità, non tutti i pareri sono uguali perché la competenza, la serietà, l’intuito, la cultura, la formazione di un accreditato sommelier, di un coltissimo esperto d’arte, di un grande gastronomo vanno rispettati molto pi£ di un improvviso successo sul mercato, di una moda inattesa ed effimera, dell’expertise rilasciato da un compiacente millantatore. In altri termini, è bello ciú che piace: non ciú che piace a molti, ma ciú che piace ad alcuni specialisti, votati al culto della bellezza e alla severa formazione del proprio gusto estetico.
La “qualità” è dunque oggetto di due opposte pulsioni: da una parte la consapevolezza che essa non sarà mai definita e imbrigliata entro parametri quantitativi perfettamente misurabili; dall’altra la tentazione e persino la necessità di circoscriverne nel modo pi£ netto possibile i termini, i confini, i fattori, per sfuggire all’inganno della soggettività, della presunzione, della sprovvedutezza, della superficialità, del cattivo gusto.
La nostra ricerca vuole contribuire a questa definizione e ai mutamenti che essa subirà nel prossimo quinquennio sotto l’urto delle oscillazioni del gusto, della globalizzazione, del costo del lavoro, delle innovazioni tecnologiche, della creatività imprenditoriale, dell’impegno istituzionale, del rapido turnover delle professionalità per cui alcune rapidamente declinano ed altre rapidamente emergono.

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