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GreenItaly un’idea di futuro per affrontare la crisi
La green economy è per l’Italia, più ancora che per altri paesi, una chiave straordinaria per affrontare le sfide che abbiamo davanti, mobilitando le migliori energie.
Di fronte ad una crisi lunga e difficile tutti sappiamo che non basta interrogare gli aruspici per conoscere il futuro. Soprattutto se interpelliamo gli stessi che nel passato recente si sono rivelati incapaci di prevedere la crisi o l’hanno, addirittura, in parte provocata.
Dobbiamo difenderci dagli effetti della crisi garantendo la tenuta dei conti pubblici e impedendo che qualcuno rimanga indietro. E questo comporta una grande attenzione alle aree deboli, ai lavoratori che perdono il posto di lavoro, al credito alle piccole e medie imprese, alle famiglie a reddito più basso. La coesione sociale, nella crisi, non è qualcosa che viene dopo ma una componente essenziale della risposta: una società strappata fa molta più fatica a rimettersi in cammino. Ma quale è la direzione? Perché, come diceva Seneca, non esistono venti favorevoli per il marinaio che non sa dove andare. C’è il rischio che molti pensino, magari senza confessarlo, che sia ancora praticabile la filosofia dell’adda passà ‘a nuttata proposta da Eduardo in Napoli Milionaria. Non è così. Anzi.
La crisi va colta come una grande occasione di cambiamento, un’opportunità per affrontare le questioni aperte da tempo. E’ questo il senso della green economy, intesa non solo come insieme delle attività direttamente connesse alle questioni ambientali, a cominciare da quella dei mutamenti climatici e degli impegni assunti dall’Italia in sede mondiale ed europea. Già non sarebbe poco. Basti pensare all’enorme sviluppo che, finalmente, stanno avendo nel nostro paese le fonti rinnovabili. Uno sviluppo che deve ora confrontarsi e cimentarsi con la necessità di avviare il pieno ingresso nel mercato, di rafforzare la componente italiana della filiera, di garantire maggiore protagonismo anche a livello internazionale del nostro paese e delle sue imprese in progetti ambiziosi come quello di Desertec, che prevede investimenti per 300 miliardi di euro nella sponda sud del Mediterraneo nel campo delle fonti rinnovabili e in particolare nel solare termico a concentrazione. O allo straordinario successo in corso del credito d’imposta del 55% per privati che intervengono sulla proprie abitazioni con misure di efficienza energetica e di ricorso alle fonti rinnovabili, riducendo di molto la propria bolletta. Solo questa misura ha prodotto investimenti per quasi 12 miliardi di euro, è stata utilizzata da circa 600.000 famiglie, ha messo al lavoro e qualificato migliaia di imprese nell’edilizia e nell’indotto, soprattutto piccole e medie con decine di migliaia di occupati coinvolti. Dovrebbero bastare questi numeri per scoraggiare qualsiasi tentativo di interrompere il cammino. Purtroppo i segnali che arrivano non sono molto promettenti.
Ma la green economy in Italia è molto di più. Si incrocia con la soft economy, con la scommessa della qualità, con l’innovazione, la ricerca, la capacità di produrre all’ombra dei campanili cose che piacciono al mondo, come diceva Carlo Maria Cipolla. E’ insomma una chiave per ragionare sul futuro della nostra economia attraverso tutti i settori: dall’agroalimentare alle ceramiche, dalla nautica al turismo, alla meccatronica, dai settori tradizionali a quelli più innovativi.
Dall’indagine condotta da Symbola ed Unioncamere risulta che il 30% delle piccole e medie imprese italiane nella crisi puntano anche su scelte connesse alla green economy, con una percentuale che sale nelle imprese che esportano (33.6%), che sono cresciute economicamente anche nel 2009 (41.2%), che hanno elevato la qualità dei loro prodotti (44.3%). E spesso sono azioni che si incrociano con una spinta per l’innovazione e per la valorizzazione delle qualità delle risorse umane. Le figure professionali coinvolte attraversano tutti i settori con picchi oltre il 50% tra i legislatori, dirigenti e imprenditori e più ancora (60.4%) tra artigiani, operai specializzati e agricoltori. Considerando i ritmi di crescita delle assunzioni green, che solo nel 2009 sono state 200.000, si può stimare nei prossimi anni tra nuova occupazione e riqualificazione dell’esistente almeno un milione di posti di lavoro. Insomma, anche se non sempre se ne ha coscienza, ci sono molti cambiamenti in atto. Per dirla come Amleto vi sono più cose tra cielo e terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia. Ma non bastano i numeri a rendere le potenzialità di una prospettiva. Le crisi ci propone anche la necessità di rivedere il rapporto tra finanza ed economia reale, tra imprese e territorio, tra cittadini-consumatori e scelte di consumo. Come ha lucidamente detto Giampaolo Fabris, sotto la luce della crisi cambiano di segno e di ruolo molti comportamenti, emerge una figura capace di condizionare in maniera molto maggiore le imprese e il mercato, il consumattore. In grado di scegliere con maggiore indipendenza e responsabilità. Prendono maggiore forza scelte che, se non sono in grado di essere generalizzate, servono però ad indicare concretamente una prospettiva che è percepita da molti come positiva: pensiamo ai prodotti biologici, al commercio equo e solidale, ai prodotti a filiera corta, a forme di consumo responsabile e personalizzato. Anche il dibattito in corso sulla revisione del PIL, di cui è concreta espressione il lavoro portato avanti da Unioncamere e Symbola sul PIQ – Prodotto Interno Qualità, è coerente con la prospettiva della green economy. Come pure può aiutare il rafforzamento di strumenti come la responsabilità sociale d’impresa, che hanno talvolta corso il rischio dell’irrilevanza, confinati tra il marketing e l’angolo (troppo angusto) dei buoni sentimenti. In una nuova chiave la responsabilità sociale d’impresa diviene un importante strumento strategico, coerente con le nuove domande dei consumatori e la prospettiva di un’economia più a misura d’uomo, attenta alle comunità e ai territori, e per questo più sostenibile e competitiva. Una prospettiva in sintonia con le belle pagine dedicate alla crisi nell’enciclica Caritas in veritate. E’ l’Italia oggi in grado di percorrere questa strada?
Conosciamo tutti i limiti del nostro Paese, una burocrazia tanto estesa quanto spesso inefficiente, le fratture tra aree del paese e le diseguaglianze nella società, l’illegalità diffusa e il peso della criminalità organizzata in tante regioni, gli scarsi investimenti nella ricerca e il deficit di infrastrutture, a partire da infrastrutture per il futuro, come la banda larga.
Se però guardiamo il nostro paese con occhio attento, con curiosità, con simpatia, con affetto vediamo enormi energie da mobilitare. Oggi la politica, le istituzioni, ma anche i soggetti intermedi, le forze dell’economia e della società non sembrano in grado di produrre una visione comune, di mettere in movimento il Paese. A me piace pensare che si potrebbe partire dalla suggestione che ci è offerta dallo straordinario successo del padiglione italiano all’Expo di Shanghai, il più visitato dopo quello cinese. E’ un padiglione che prova a riassumere e rappresentare l’insieme delle caratteristiche e delle qualità italiane. Dall’ hi-tech del cemento che lascia trasparire la luce alla cupola di Santa Maria del Fiore, dal made in Italy tradizionale alla qualità agroalimentare, dal paesaggio alle tante imprese italiane che sono presenti nel mondo. E c’è sempre un artigiano (della calzatura, del restauro, della liuteria) che produce bellezza e senso. Insomma una foto di gruppo dell’Italia di qualità. Un’intuizione simile a quella da cui si è sviluppata Symbola. Ed è veramente triste che ancora oggi il progetto dell’Expo di Milano sia impantanato tra beghe politiche, lottizzazioni e un peso abnorme dato alle attività immobiliari rispetto alla visione e alle idee. Speriamo che le cose cambino perché anche l’Expo 2015 potrebbe essere un catalizzatore importante per il futuro. E nel 2015 non ci sarà bisogno di riprodurre in un padiglione ciò che è a portata di mano.
Napoleone diceva di vincere le battaglie grazie anche ai sogni che i suoi soldati facevano di notte. Anche l’Italia ha un grande bisogno di una visione comune, di un sogno. Il sogno di un paese che affronta insieme un presente difficile e le sfide del futuro senza perdere la propria identità, la propria anima. Facendo anzi di questo un proprio punto di forza. La green economy può essere parte importante di questa visione, di questa avventura comune.

Ermete Realacci, Presidente Fondazione Symbola

Innovazione e qualità nel DNA delle Camere di Commercio italiane
La green economy è oggi un tema centrale nel dibattito sui fattori in grado di guidare un nuova fase di sviluppo dei sistemi produttivi e dell’occupazione. Si tratta di un evidente cambiamento di prospettiva, culturale ancor prima che economica: l’ambiente, da vincolo e freno alla crescita dell’impresa, viene riconosciuto come motore di sviluppo e di innalzamento della qualità della vita. Anche in risposta a sempre più diffuse preoccupazioni in campo ambientale ed energetico, i Paesi avanzati hanno evidenziato la necessità di incentivare l’adozione di comportamenti più sostenibili da parte delle imprese e di indurre una conseguente trasformazione nei modelli di produzione, stimolando l’innovazione tecnologica, di processo e di prodotto.
Ma la green economy sarà una sorta di Eldorado, dove tutti i problemi che stiamo fronteggiando saranno finalmente risolti? Pur non mancando qualche voce critica, sono ormai numerosi coloro che vedono nell’economia verde un’occasione unica per rendere più competitivo il sistema imprenditoriale italiano, per il quale essa rappresenta una leva attraverso cui cogliere nuove opportunità di business, riorganizzandosi intorno a quei valori di qualità e di tutela del territorio che ‘storicamente’ ne hanno determinato il successo.
Si tratta di un salto tecnologico paragonabile – per stare a quanto avvenuto negli ultimi anni – a quello della rivoluzione informatica. Nell’energia come nelle costruzioni, risultano ormai evidenti i segnali di questo cambiamento. Altri settori economici stanno cercando di cogliere le opportunità legate a un modello di consumo orientato al rispetto dell’ambiente e attento al risparmio energetico. Un consumo la cui soddisfazione è alla portata di tantissime nostre piccole e medie imprese, a partire da quelle specializzate in un made in Italy dove sostenibilità è sinonimo di qualità, di innovazione continua, di valorizzazione del legame con il territorio di origine.
Questi nuovi orientamenti nell’acquisto di beni e servizi fanno sì che, di fatto, la green economy assuma un carattere pervasivo. Coinvolge imprese e lavoratori dell’agricoltura come dell’industria o dei servizi, introducendo – in modo trasversale – logiche orientate a un minor consumo di energia e di materie prime, cui si accompagna, a valle del processo produttivo, una riduzione delle emissioni in aria, acqua e suolo, per la riduzione dei rifiuti. Obiettivi il cui raggiungimento richiede scienza, tecnologia e management. Richiede nuove professionalità ma anche, e soprattutto, un ampliamento delle competenze preesistenti.
Lo scenario lavorativo potrà così ampliarsi fino a comprendere nuovi mestieri, nuovi saperi, nuova creatività, in risposta a nuovi bisogni dei consumatori.
Il nostro Paese è pronto a cogliere questa nuova sfida? Quali sono le opportunità e gli ostacoli che incontreremo? Unioncamere e la Fondazione Symbola portano questi interrogativi all’attenzione di studiosi e policy makers. Siamo convinti, e risulta ben evidente da questo Rapporto, che la green economy non sia un nuovo settore produttivo, un nuovo comparto che si aggiunge agli altri. Si tratta piuttosto di un nuovo modello di sviluppo, a forte impatto sulla crescita delle economie territoriali: perché premia in primo luogo la valorizzazione dei fattori locali, cerca e chiede maggiore personalità, storia e tradizione nei prodotti comprati e consumati, vuole beni che portano con sé il rispetto dei luoghi di origine, associando a questi il valore della salvaguardia dei beni ambientali e dei valori culturali.
Questo modello è già nel DNA delle Camere di commercio, che nella valorizzazione dei sistemi economici locali identificano la loro missione.
Dare maggior valore ambientale e culturale ai nostri prodotti e ai nostri servizi vuol dire dare maggior spessore alle nostre capacità tecniche, vuol dire saper identificare le nuove professionalità che ci sono necessarie, vuol dire ampliare le competenze delle attuali maestranze. Per questo è strategico avviare programmi di formazione continua che permettano di avere nelle nostre imprese operai, tecnici e laureati con un giusto bagaglio di conoscenze e di capacità per rispondere alle sfide tecnologiche e organizzative che siamo chiamati a fronteggiare, per sviluppare nuovi prodotti o servizi green e per accrescere – attraverso l’introduzione di nuove tecnologie – la sostenibilità di quelli già prodotti.
È indubbio che la green economy influenzerà il mercato del lavoro: le previsioni dei più autorevoli osservatori internazionali stimano che l’entità e le competenze dei green jobs saranno in crescita in tutto il mondo, e non solo nel campo delle energie rinnovabili e dell’efficienza energetica. Grazie ai dati del nostro Sistema Informativo Excelsior siamo stati in grado di verificare il grado di allineamento dei fabbisogni professionali delle imprese rispetto all’evoluzione in atto, rilevando come il 38% delle nuove assunzioni possa oggi essere ricondotto ai diversi ambiti di diffusione della green economy. Pur in molti casi senza averne piena consapevolezza, le nostre aziende stanno quindi gradualmente adeguando la propria composizione lavorativa in questa direzione. Esprimendo, inoltre, una domanda di formazione continua che chiama direttamente in causa l’impegno del sistema camerale a supporto delle imprese in questa fase di cambiamento.
Anche in questo caso insieme alla Fondazione Symbola, organizzeremo incontri e seminari tecnici per dare maggiore consapevolezza alle piccole e medie imprese sulle opportunità di crescita che la green economy può offrire, in modo da identificare le esigenze e gli strumenti necessari per un pieno decollo del green market. Rafforzeremo, nelle varie realtà locali, la sensibilità sull’importanza del connubio tra attenzione al consumatore, tutela dell’ambiente e sviluppo del territorio. Che significa garantire ‘la storia’ del prodotto, ma anche assicurare trasparenza sui materiali impiegati, sui metodi di lavorazione e sul loro possibile impatto.
Questo Rapporto mette dunque in luce le peculiarità di quello che possiamo a ragione definire come il modello italiano nella riconversione in senso ambientale dell’economia. Un modello basato su un processo virtuoso in grado di generare nuovi protagonismi imprenditoriali nel solco del tradizionale paradigma della piccola e media impresa, pienamente capace di adattarsi di continuo all’evoluzione dei consumi. Con un impatto dal punto di vista occupazionale che, in prospettiva, riguarderà la metamorfosi di ruoli e professioni tradizionali e non solo la domanda di professionalità contraddistinte da competenze del tutto originali.
Certamente la capacità della green economy di trasformare la sfida ambientale in crescita economica e occupazionale dipenderà anche dalle politiche messe in atto per accompagnarne la diffusione. Occorre, pertanto, elaborare strategie coraggiose e lungimiranti, capaci di valorizzare le dotazioni naturali e imprenditoriali già presenti nel Paese in un’ottica verde, facendo leva sulla capacità delle aziende di adeguare il proprio know how alle nuove sfide dello sviluppo.
Se c’è un futuro per il nostro sistema produttivo, e io credo sinceramente che ci sia e sia roseo, non so immaginarne uno migliore.

Ferruccio Dardanello, Presidente Unioncamere

 

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