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“Misura ciò che è misurabile, e rendi misurabile ciò che non lo è”
Galileo Galilei

Oltre 450 in tutto il mondo, con una media di 12 new entry ogni anno. Quello delle certificazioni e dei marchi ambientali è un mare magno fatto di strumenti rigorosissimi che convivono con operazioni di puro greenwashing. Fatto di marchi semplici ed efficaci ma anche sigle e simboli poco comprensibili che non aiutano il consumatore a capire i prodotti che sta comprando, né le imprese a far conoscere i propri comportamenti virtuosi. Di certificazioni percepite spesso dalle aziende esclusivamente come il biglietto da pagare per sperare di entrare nel mercato degli acquisti verdi o tra i fornitori di alcune grandi imprese.

Certificare per competere di Fondazione Symbola e Cloros nasce proprio per dare – ai consumatori, alle aziende, ai tecnici – strumenti utili per mettere ordine nel composito mondo delle certificazioni ambientali. Che abbiamo passato ai raggi x, evidenziandone punti di forza e deficit (che pure non mancano), e portando alla luce un aspetto sottovalutato, e spesso messo in discussione: una correlazione solida tra certificazione e competitività delle aziende.

Le certificazioni ambientali, infatti, possono essere un acceleratore di competitività, un trampolino per il miglioramento delle performance – ambientali, certamente, ma anche economiche – delle imprese. Un elemento determinante nel cammino delle aziende, e del Paese, verso la qualità. Ancora una volta non solo ambientale: perché, come segnaliamo nel rapporto, una certificazione ambientale porta con sé vantaggi nei dei bilanci, migliori rapporti con le imprese, i consumatori, il territorio, la società e la Pubblica amministrazione; acuisce l’attenzione alle richieste dei clienti, migliora la reputazione, rafforza quella tensione innovativa che è il cuore della sostenibilità e della green economy.

Partendo dalla costituzione del primo parziale database delle imprese del made in Italy (le 4A: Automazione, Abbigliamento, Arredocasa, Alimentari) dotate di certificazioni ambientali, e confrontandone le performance con quelle delle imprese non certificate di un corrispondente contro- campione, risulta quello che in tanti sostenevamo, e che molti invece negavano.

In piena crisi, tra il 2009 e il 2013, le imprese delle 4A con certificazione ambientale hanno visto i loro fatturati aumentare, mediamente, del 3,5%, quelle non certificate del 2%: le certificazioni portano in dote, cioè, uno spread positivo di 1,5 punti percentuali. Ancora meglio nell’occupazione, dove lo spread arriva a 3,8 punti percentuali: le certificate hanno visto crescere gli addetti del 4%, le altre dello 0,2%. Con vantaggi particolarmente spiccati nel tessile abbigliamento (spread nel fatturato +3,6) e nell’automazione (spread per gli addetti +3,9). Questi dati medi ci dicono che le certificazioni giovano alle imprese di ogni dimensione. Se però zoomiamo sui risultati nelle diverse dimensioni aziendali (piccole, medie e grandi), ci accorgiamo che sono soprattutto le imprese più piccole ad ottenere maggiori vantaggi: le PMI (fino a 50 addetti) con certificazione ambientale registrano uno spread di +4 punti nel fatturato (contro un +1,1 delle medie, fino a 250 addetti, e un +0,6 punti delle grandi) e di 1,2 punti negli occupati (contro lo 0,6 o 0,7 delle altri classi). Al Sud, poi, mentre fatturato e addetti vanno sotto zero per le imprese non certificate, quelle certificate (con uno spread rispettivamente di +1,7 e +3,2) possono vantare mediamente risultati positivi.

L’export, come segnaliamo nel rapporto, è una delle motivazioni per quali le imprese scelgono di certificarsi: a ragione, visto che le imprese delle 4A con certificazione ambientale esportano nell’86% dei casi, mentre le non certificate nel 57%.

Lungo questo cammino, Fondazione Symbola, nella missione di leggere e promuovere le qualità italiane come chiave per affrontare le sfide che attendono il Paese, e Cloros, uno dei protagonisti più attivi della filiera nazionale delle certificazioni, ritengono che Certificare per competere possa dare un contributo utile: ai consumatori come ai decisori pubblici e, soprattutto, al ricco e vitale tessuto delle imprese del made in Italy.

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