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Le turbolenze degli ultimi anni hanno generato tanto reazioni nostalgiche quanto visioni velleitarie. Tra questi estremi, che sembrano confortanti ma si rivelano inquietanti, la creatività mostra tutta la propria forza modellando progetti e strategie che restituiscono opportunità e responsabilità a un mondo che vuole crescere costruendo il proprio futuro.

Dal solstizio d’estate del 2018 a oggi continua ad emergere un flusso di coscienza che si dibatte tra aneliti mondiali e ancoraggi locali. Nei diversi continenti la creatività si manifesta in forme molteplici e può rappresentare un argine spiazzante contro l’incancrenirsi di processi ormai lunghi e vecchi ma persistenti. Le ambizioni espansive cinesi e i sospetti di tardo-colonialismo francese trovano un contraltare incisivo e discusso nei percorsi di Greta Thunberg che contrappone l’energia adolescenziale all’indifferenza rispetto alle complesse prospettive ambientali, facendo emergere un dilemma inestricabile: il dileggio dell’ambiente cammina con i processi di sviluppo, e la cosa tocca i nervi scoperti anche di molti Paesi in crescita. Non si hanno risposte precise a una questione così grave e complicata, ma è difficile se non impossibile anche costruire domande appropriate.

Nel frattempo il mondo variegato dei creativi lavora per la felicità, che finalmente entra a scompaginare le metriche economiche e sociali. Introdotta molti anni fa dal governo del Buthan come indicatore di benessere, la felicità sta ponendosi come il punto d’arrivo imprescindibile delle politiche pubbliche così come delle strategie aziendali. Sono i Finlandesi, secondo il World Happiness Report promosso dalle Nazioni Unite, i più felici al mondo: elevato capitale sociale, servizi scrupolosi per mamme e bambini, parità di genere, tolleranza per chi gioca ed empatia per chi fallisce. Tempo di uscire dalle smanie muscolari e di incoraggiare condivisione e partecipazione alla vita comune. Jeffrey Sachs, John Halliwell e Richard Layard, che dirigono il Report, enfatizzano la stretta relazione tra felicità e comunità. Svanisce così la smania accumulatrice tanto cara agli apostoli del capitalismo seriale e subentra una società segnata dai proprî fermenti creativi e dal desiderio di superare le gabbie della convenzione.

Il rogo di Notre Dame ha fatto riflettere un po’ tutti sull’importanza della cultura come fenomeno cruciale, stratificato e in continua evoluzione. Ma soprattutto ha sortito l’effetto di un richiamo civile al senso di responsabilità, percepito e declinato in maniera eterogena dal discorso pubblico che ne è conseguito. Le ebollizioni interpretative — spesso, inevitabilmente, di parte — rivelano comunque un’urgenza di ancoraggio a identità da condividere, superando la statica protezione che ne calcifica il senso, ed enfatizzandone, al contrario, le dinamiche evolutive e plurali.

La responsabilità può essere ‘istigata’. Già dieci anni fa ci aveva provato in Svezia il gestore della metropolitana di Stoccolma, trasformando la scala in una tastiera sonora per scoraggiare dall’uso della scala mobile nella fermata di Odenplan. Lo stesso principio è stato applicato, nella cittadina islandese di Isafjördur, dipingendo le strisce pedonali in 3D in modo da far rallentare le automobili e far giocare i pedoni lasciando immaginare di camminare sull’aria. Tre anni fa l’avevano sperimentato a New Delhi, segno che la creatività alligna dovunque ci sia un problema da affrontare in modo non convenzionale.
Nella primavera del 2019 hanno cominciato a Boston, Massachussets.

Ancora negli USA è in corso un passaggio di testimone tra le due coste del Paese.
Non lontano della Silicon Valley, Los Angeles sembra puntare sull’arte contemporanea, con l’apertura di numerose gallerie e fiere importanti come Frieze, mentre a San Francisco sarà costruito un grande parco di arte pubblica nell’ambito di un più ampio progetto di riqualificazione della Baia. Degna di nota è una recente ordinanza della municipalità che richiede che almeno il 30% delle opere d’arte pubblica sia di artiste donne. Sull’East Coast, intanto, New York punta sul capitale dell’high tech e attrae colossi come Google, Facebook, LinkedIn e Uber, capitale che porterà in città lavoratori giovani, ben pagati, che avranno bisogno di appartamenti e centri commerciali: la ricetta per la gentrificazione, che la comunità di Long Island ha evitato opponendosi alla costruzione del quartier generale di Amazon. Ancora a New York, più precisamente a Wall Street, arriva la piattaforma cinese DouYu, che si occupa di live streaming di videogiochi. Assieme al cinema e all’audiovisivo, la Cina è in corsa per affermarsi anche nel settore ibrido, tra high-tech e arte, dei videogiochi interattivi e in streaming. Dopo musica, cinema e tv, anche per il videogame è di fatto cominciata l’era dello streaming e della liberazione dal supporto fisico della console (oltre all’abbonamento PlayStation Now di Sony su modello all-you can-play sulla falsa riga di Netflix, anche Microsoft sta per lanciare sul mercato la sua tecnologia streaming).

In un quadro così morbido e inedito, la creatività è l’avanguardia del richiamo alla responsabilità, nei confronti della comunità e della Terra che la ospita. Il colore Pantone del 2019 è il ‘Living Coral’ 15-1546 per la sua forza evocativa: nella definizione tecnica “vivace e pastoso”, il corallo vivente “ci abbraccia con calore e nutrimento per darci conforto e reattività in un ambiente che muta di continuo” (pantone.com). La scelta è anche un contributo nei confronti del disastro climatico in corso, che tra i tanti effetti coinvolge le barriere coralline di tutto il mondo. La consapevolezza su temi così delicati è stimolata anche da creativi come il danese Olafur Eliasson che lo scorso dicembre ha installato a Londra Ice Watch, una sorta di orologio fatto da trenta blocchi di ghiaccio in inevitabile scioglimento (ventiquattro davanti alla Tate Modern, sei fuori dagli uffici di Bloomberg, cosa di forte valenza simbolica).

Mentre i creativi a Londra e nel resto della Gran Bretagna continuano a soffrire a causa del lungo, controverso e persino imprevedibile processo di Brexit, dalla Scozia (che comincia a valutare la permanenza nell’Unione Europea come Stato indipendente) emerge l’opera creativa di Charlotte Prodger, vincitrice dell’edizione 2018 del Turner Prize con una serie di audiovisivi corti realizzati con un iPhone. “Inaspettatamente espansiva” nella valutazione della giuria internazionale, Prodger ha realizzato un’opera incisiva e complessa, mostrando come la vita quotidiana sia permeata di questioni
cruciali che da troppo tempo vengono eluse, ignorate o calcificate dalle convenzioni di una borghesia agli ultimi rantoli: classe, gender, sessualità, archetipi mal gestiti e miti mal digeriti.

Non è un caso, simmetricamente, che il Pritzker Prize sia stato assegnato per una lunga carriera da architetto quasi eversivo, al giapponese Arata Isozaki, ispirato da Borromini, Schinkel e Brancusi e autore tra le altre opere della struttura gonfiabile Ark Nova, disegnata nel 2011 con Anish Kapoor per il Festival di Lucerna. Per quanto scaturisca da un forse ineludibile genius loci la creatività si sposta rapidamente mostrandosi contagiosa. In anni di nostalgie timorose potrebbe diventare l’esperanto
di una società sempre più sofisticata e contraddittoria che cerca un glossario da condividere. Una presa di coscienza della responsabilità istituzionale verso i grandi problemi della società contemporanea, tra crisi ambientale e riconversione dell’industria, arriva dalla Colombia. Qui, il presidente Duque ha posto l’obiettivo di far crescere la Orange Economy fino al 10% del Pil nazionale. Il primo passo per portare l’industria creativa al centro dell’economia è stato lanciare un’asta in cui 340 investitori hanno finanziato produttori di tipo creativo, dal gioiello alla fibra ottica, anziché́ tradizionali produzioni non sostenibili. Quante volte abbiamo letto che la creatività può essere un volano per l’economia?

Gli interrogativi che intrecciano fermenti creativi e smottamenti sociali passano per la fertilità del tessuto urbano, che supera le gerarchie spaziali e simboliche di una realtà codificata per aprirsi a orientamenti non pregiudiziali che rendano l’infrastruttura urbana più ricettiva e al tempo stesso più seduttiva. La scommessa si giocherà a Rio de Janeiro che nel 2020 è stata designata Capitale Mondiale dell’Architettura UNESCO (superando Parigi e Melbourne); in Europa si raccoglierà la sfida del Design, la cui Capitale 2020 — per la prima volta una città francese — sarà Lille, designata dalla World Design Organization. La riflessione su architettura e design può rappresentare un’occasione intensa per avviare un mutamento radicale nel modo di concepire la forma della città e le sue dinamiche spaziali e temporali.

A livello istituzionale, l’urgenza di un deciso cambiamento di passo va completata con intuizioni artigianali da innestare nei territori, come le biblioteche — fonte condivisa di conforto — che in Turchia nascono per iniziativa dei netturbini che ripescano libri dall’immondizia e li rimettono in circolo in un quartiere periferico di Ankara, rispondendo nei fatti alla riduzione sistematica delle biblioteche pubbliche. Prima condivisi con amici e parenti, i libri sono più di seimila e adesso chiunque ne può usufruire. La creatività diventa un imperativo per ridisegnare un mondo in cui ogni ossatura appare affaticata, dai riti della democrazia elettorale alle manifestazioni del benessere individuale.

La scala locale prevale anche nell’esperienza del Mafalala Museum a Maputo, Mozambico. Creato come museo di comunità insieme al Festival che dà voce a un quartiere periferico nato come luogo di segregazione coloniale, è stato disegnato in seguito a un processo di partecipazione della comunità territoriale che ne ha costituito anche l’archivio e ne ha strutturato i percorsi urbani. Museo multidisciplinare, è in corso di allestimento per rafforzare il reciproco innervamento con il reticolo urbano che lo circonda e con i fermenti creativi che la comunità locale indirizza alla costruzione di
un’identità condivisa della quale essere orgogliosa, grazie al lavoro sistematico di IVERCA, una non profit community-based che catalizza i talenti di giovani professionisti residenti.

Mentre si recuperano le relazioni morbide e la prossimità territoriale, una questione quasi nuova attanaglia gli analisti. Nessuno ha tuttora capito se gli androidi sognano pecore elettriche, eppure l’irrompere dell’intelligenza artificiale (che piaccia o meno contiene una forte componente creativa) lascia non pochi smarriti e timorosi. Di fatto la robotica nell’industria creativa “non si limita a cambiare il modo in cui le cose sono disegnate e costruite, ma trasforma cultura, politica ed economia della conoscenza”. Scambi, confronti e discussioni tra esperti di diverse discipline mettono a fuoco queste tematiche nella ROB|ARCH conference che NCCR Digital Fabrication a ETH Zurich organizzano in Svizzera su impulso della Association for Robots in Architecture.

Paradossalmente, mentre la cronaca ci mostra una società mondiale sempre più sfilacciata e conflittuale, la creatività sembra offrire una credibile via d’uscita dallo smarrimento. Le imprese più solide cominciano a dare peso alla conoscenza del latino per selezionare i propri professionisti, e il World Economic Forum 2019 sottolinea il peso unico che la creatività può esercitare sul futuro dell’economia, dal momento che “come le rivoluzioni industriale e informatica prima di essa [la creatività] ha il potenziale di scatenare la crescita globale rendendo le organizzazioni più efficaci e più innovative”. Artisti Innovatori, così li definisce uno studio pubblicato da Harvard Business Review, sono la prospettiva più solida per il futuro della società.

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